Elsa Airoldi
Raccontare Maurizio Pollini? Difficile. Riassumerlo? Impossibile. Ma tantè. Due righe per segnalare la sua presenza domani sera alla Scala, per il Fai. Fatto singolare, dal momento che sono passati poco più di due mesi dal tutto Chopin eseguito al Piermarini per la Società dei Concerti. E che quelloccasione era a sua volta immediatamente anteriore alla tappa bolognese del progetto Maurizio Pollini per Luigi Nono. Una concentrazione rarissima.
Andando a memoria citiamo ancora i due appuntamenti romani con Abbado a la Lucerna dello scorso ottobre, il Mozart con Muti agli Arcimboldi e il concerto del Quartetto dallautunno 2004. E prima, per Milano Musica 2002, il ritorno in Conservatorio dopo lassenza di un quarto di secolo. Scordiamo certo qualcosa. Ma non tanto da cambiare il significato. Il nostro massimo pianista è infatti uno che non si concede. Che non sè mai concesso, nemmeno allindomani del premio Chopin quando, invece di volare con la baldanza dei suoi 18 anni sulle ali della gloria, sè chiuso in casa e sè rimesso a studiare. Non si da né a sé stesso, né al pubblico, né al repertorio. Che pure potrebbe affrontare nella sua totalità. A lui non basta la grandezza di un grande, deve anche sentirselo vibrare dentro. Tanto che tra i nomi della letteratura pianistica sono in tanti a mancare allappello. In cambio sono arcinoti limpegno sociale e la posizione nei confronti delle avanguardie, da accogliere esattamente come Beethoven o come lamato (anche Nono, uno dei «consonanti», ne teneva lopera a portata di mano sul piccolo verticale della Giudecca) Schumann. Affinità elettive accostano sulle sue locandine e nelle sue giornate Bach e Boulez, Beethoven e Stockhausen, Brahms e Schönberg, Mozart e Rihm.
Ma niente paura. Domani solo nomi di massimo gradimento. Da Mozart che apre con la superba Sonata K 457, nella tonalità prediletta del do minore (amatissima anche da Beethoven), allo Schumann di Kreisleriana. Che accorpa otto brani estremamente chiaroscurali e nel loro susseguirsi e al loro interno. Vero e proprio specchio di Eusebio e Florestano, gli alter ego fantastici del compositore. Quindi Liszt.
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