Piazza Pasquino, la chiesa della Natività va in pezzi

Valeria Arnaldi

La facciata sporca e percorsa da crepe. L’intonaco caduto. Tracce evidenti di corrosione provocata dall’umidità. Su tutto, una patina grigia di smog. La chiesa della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo, in piazza Pasquino, sembra abbandonata. Perfino il portone reca i segni dell’incuria: in più punti manca la vernice, in alcuni, perfino, il legno. La situazione non migliora all’interno. A causa dell’umidità, la pittura delle pareti si sfalda, portando alla luce il semplice intonaco bianco. Gli stucchi sono rotti, i marmi spezzati. Dall’architrave antistante l’altare partono lunghe spaccature che corrono sia sulla volta che sulle mura e profonde, quanto minacciose, tracce di assestamento. Il pavimento è sconnesso. Dall’ingresso all’altare maggiore, la maggior parte degli affreschi è ormai illeggibile. Ed anche laddove si riescono ad individuare tracce di colore o figure, le opere sono danneggiate in modo irrecuperabile. E sì che la chiesa era uno dei piccoli gioielli di Roma, ricca di storia e tradizioni. Qui sarebbe conservata parte delle fasce nelle quali è stato avvolto Gesù alla nascita. Qui, nel giorno previsto per le esecuzioni, venivano esposte le «tavolozze»: sulla prima erano riportati nome e reato del condannato, sulla seconda, invece, l’avviso «Indulgenza plenaria a tutti i fedeli che confessati e comunicati visiteranno il Santissimo Sacramento esposto nella chiesa degli Agonizzanti per chi è condannato a morte».
Costruita nel 1692 dall'Arciconfraternita degli Agonizzanti, che aveva appunto il compito di pregare per i moribondi e assistere i condannati, la chiesa fu realizzata da Giovan Battista Contini in un palazzo appartenuto alla famiglia Gottifredi. La facciata non venne modificata - l’attuale, o quello che ne resta, è il frutto di lavori eseguiti nel 1716 da Paolo Zampa e nel 1861 da Andrea Busiri Vici - all’interno fu realizzata una struttura semplice a navata unica con volta a botte. Molti, secondo la documentazione della costruzione e dei successivi interventi, gli affreschi dei quali, però, oggi quasi non rimane traccia. A partire dall’acquasantiera, in diversi punti della navata, stucchi dorati incorniciano ormai soltanto crepe, tra le quali si evince qualche macchia di colore. Sono pressoché impercettibili i tratti di angeli e putti affrescati sull’architrave. Non si salva neanche lo Spirito Santo affrescato sulla volta: la colomba bianca dell’iconografia tradizionale ha perso il capo nel crollo di una parte di intonaco. La parete dietro l’altare maggiore è corrosa dall’umidità che sta attaccando anche gli affreschi monocromi raffiguranti San Gioacchino e San Giovanni Battista. Più gravi, sugli altari laterali, le condizioni delle opere di Giovanni Paolo Melchiorri, che, secondo la settecentesca guida di Roma di Filippo Titi, furono donate dal pittore, «essendo Fratello degli Agonissanti». Sull’altare di sinistra, l’«Adorazione dei Magi»: la figura di San Giuseppe è quasi interamente scomparsa a causa dell’umidità che danneggia anche parte del peplo della Vergine. I colori sono cancellati in più punti dell’opera, portando alla luce la base bianca: «colpiti» abiti e espressioni dei Magi, oltre a volto e corpo di Gesù.
È ormai irrecuperabile «La circoncisione» sull’altare di destra. Lo scenario è completamente abraso, così come le figure. Le poche che ancora sono visibili, sono ombre spettrali, senza colore, corrose dall’umidità, responsabile, tra l’altro, anche dell’impossibilità di utilizzare gli ambienti sotterranei. Da tutta la navata è scomparsa la decorazione a finto marmo. Anche i veri marmi colorati degli altari sono spezzati. Frammenti se ne trovano sul pavimento o sui piani, quando vengono raccolti dai fedeli.

E sì, perché la chiesa, malgrado l’evidente stato di degrado, nel ’94 è stata affidata alla comunità cattolica di rito congolese, che qui svolge un’intensa attività di assistenza ai malati, ricerca di lavoro, orientamento verso centri di ascolto e aiuto, incontri interculturali, oltre, ovviamente, alla messa domenicale officiata in italiano, lingala e francese.

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