Cronaca locale

«Picchiava la moglie che si uccise, a processo»

«Picchiava la moglie che si uccise, a processo»

Per anni aveva picchiato la moglie. Nessun pudore nemmeno davanti ai figli. L’aveva picchiata fino a pochi istanti prima che la donna, esasperata, si suicidasse gettandosi dal quarto piano. Era il 19 luglio del 2004. Aveva 34 anni. Secondo il pubblico ministero Fabio Roia, il marito l’aveva ridotta «in uno stato di grave sofferenza personale, e in una penosa condizione di vita». Concluse le indagini, il pm ha chiesto il rinvio a giudizio per il marito, Maurizio Nicola I., 40 anni di Cornaredo, accusato di maltrattamenti in famiglia.
E oggi i parenti della vittima chiedono l’affidamento dei due bambini, che abitano ancora con il padre. Pochi giorni dopo il suicidio, infatti, un decreto provvisorio emesso dal Tribunale per i minorenni affidava i figli della coppia al Comune di Cornaredo, ma scegliendo come domicilio quello del padre e dei nonni paterni.
Un decreto emesso dal giudice minorile Daniela Guarnieri, che prevedeva di riconsiderare l’affidamento in un’udienza fissata per il 17 settembre 2004, per valutare le perizie svolte dagli psicologi di famiglia. Ma, a più di un anno, quell’udienza non si è ancora tenuta.
«Una contraddizione». Carmen Orbani, sorella della vittima, lotta da oltre un anno per allontanare i bambini dal padre. «Ha costretto mia sorella a chiudere due negozi, le rubava i soldi della cassa per andare a bere, la picchiava e non ha mai avuto un lavoro: come faccio a permettere che i miei nipoti vivano con l’uomo che ha ucciso la loro madre?».
Dubbi condivisi dal legale della donna, l’avvocato Gianluigi Sguazzi. «Ora che è stata depositata la richiesta di rinvio a giudizio - sostiene - ci sono validissimi motivi perché il Tribunale per i minori riconsideri la pericolosità sociale del padre nei confronti dei due bambini». E così anche Roia, secondo cui i bambini avrebbero evidenziato «problematiche di tipo personale connesse al clima di violenza familiare imposto dal padre».
«Sono preoccupata per i bambini, si sta giocando con il loro futuro». Carmen Orbani non si rassegna. Dice di non fare tutto questo «per rabbia o per vendetta», e «non dico di essere io la persona più adatta a crescerli». Però, «voglio poter dire ai miei nipoti che il papà ha picchiato la mamma, ma non è che lo fanno tutti.

Questo è un reato».

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