Perciò sembra fatto apposta. Innanzitutto Pierdavide Carone ha il dono di scrivere testi arguti e comprensibili. Usa parole popolari con il gusto inedito di comunicare, e non sorprendere o propagandare. E poi è primo in classifica con il suo cd Una canzone pop dopo aver venduto oltre centomila copie in pochi giorni, roba da record. È il ventiduenne con lo sguardo da Calimero che è arrivato in finale ad Amici addirittura con un pedigree in via di estinzione, quello da cantautore. Perciò sembra fatto apposta: è la dimostrazione che, smentendo i critici luogocomunisti, quel talent show individua, appunto, i talenti a prescindere, basta che siano bravi. E questo ragazzetto romano, tanto timido e disarmato, lo è al momento giusto perché copre lo spazio noiosamente vuoto della canzone d’autore cantata per piacere a tutti, mica soltanto ai soliti quattro gatti.
Pierdavide Carone, erano anni che un cantautore non vendeva così tante copie in così poco tempo.
«E io sono orgoglioso di essere un cantautore, per questo ho anche studiato chitarra classica».
Ma la categoria è in disarmo, dicono.
«No, ci sono. Più che altro sono poco seguiti. A me piacciono Cristicchi e Caparezza, bravissimi ma di nicchia».
Perché?
«Forse i temi che affrontano sono poco popolari».
Lei invece?
«Io ho cercato di affrontare argomenti importanti in modo comprensibile. Perché è facile arrivare agli ascoltatori intelligenti, più difficile interessare quelli più pigri».
Quelli di «Amici» di che tipo sono?
«Magari sono pigri, come tanti giovanissimi. Ma non stupidi. Talvolta la pigrizia porta a vivere una vita un po’ frivola. Io desidero essere semplice e anche complesso».
Idee chiare, però. Da quando?
«Sin da piccolo. A dire il vero da bambino non ero, diciamo così, accerchiato da amici coetanei. Forse si annoiavano di fianco a me».
Quando scrive le sue canzoni, a chi si ispira?
«I miei modelli sono Rino Gaetano e Fabrizio De André. De André era un poeta che cantava: i suoi testi si possono leggere senza cantarli e mantengono la stessa forza».
E a chi pensa?
«A me. Ad esempio, La ballata dell’ospedale racconta di quando, per una idronefrosi, sono entrato in ospedale pensando di starci tre giorni e ci sono stato un mese per le solite lungaggini della sanità. Io sono totalmente autobiografico. Ad esempio, non potrei cantare di guerra, non ho neanche fatto il militare».
Lei ha anche scritto il testo di «Per tutte le volte che» con cui Valerio Scanu ha vinto Sanremo. C’è un verso che è diventato un tormentone, non sempre positivo: «Far l’amore in tutti i modi, in tutti i luoghi, in tutti i laghi».
«Ma non è da intendersi in senso fisico, è una metafora».
La voce non è il suo forte.
«Sì è vero. Ad Amici mi hanno fatto anche cantare Pavarotti. Ma non sono certo Pavarotti».
È il primo cantautore a uscire da lì.
«E spero di aver creato un precedente. I cosiddetti intellettuali della musica hanno sempre detto: sì ad Amici ci sono belle voci ma cervello zero».
Durante il programma qualcuno ha provato a indirizzare le sue scelte?
«No, nessuno mi ha mai condizionato e mi sono sentito liberissimo. E poi vuole sapere una cosa?».
Dica.
«Rimanendo lì per molti mesi, mi sono accorto che sono i cantanti a fare Amici, non il contrario. Perciò abbiamo libertà assoluta».
Tra l’altro Maria De Filippi lo dice sempre.
«Ha un’intelligenza rara. Me lo avevano detto prima. Ma lo capisci subito appena la incontri».
Ad «Amici» lei ha anche trovato l’amore, Grazia Striano.
«Sono sempre stato sospettoso verso gli amori che nascono in tv. E ho cercato di “detelevisivizzare” la nostra storia, mantenendola il più anonima possibile».
Lei non parla quasi mai dei suoi genitori.
«Ho perso subito il senso della famiglia perché loro si sono separati. E io, per il trauma, non riuscivo a comunicare.
Per mantenere la musica, ha anche fatto il casellante all’autostrada.
«Si dice esattore al casello... Magari se tutto va male tornerò lì. Ma per ora voglio giocarmela tutta».
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