Roma - «Fosse per me, toglierei quella norma che è confusa e scritta male, e andrei avanti col decreto», sentenzia il ministro Antonio Di Pietro ufficializzando così la sua contrarietà allo stop impresso dal premier al provvedimento sulla sicurezza.
Perché, secondo lei, bisognava andare avanti?
«Di sicurezza c’è bisogno come il pane e l’acqua, in questo Paese; e di interventi c’è ancora più urgenza. Per questo abbiamo provveduto per decreto».
Però è emerso lo scoglio di quell’articolo sull’omofobia...
«Per ragioni politiche, peraltro non condivisibili. Ma quell’articolo, con la sicurezza non c’azzecca niente, come avrebbe detto il vecchio Di Pietro. È una chiara forzatura di una parte della coalizione, per infilare nel problema della sicurezza che attiene al Paese un altro problema che attiene alle coscienze e alla cultura».
Dunque è contrario al ritiro del decreto?
«Ritengo del tutto fuori luogo, fuori tempo e fuori dal buonsenso, rinunciare all’intervento per decreto sulla sicurezza. Io credo che il governo dovrebbe fare due cose, con urgenza: prendere atto che quella norma non c’azzecca nulla con la sicurezza, e assumersi la responsabilità di non andare in ferie, perché tra Natale e Capodanno c’è ancora qualche giorno utile per non lasciare scadere il decreto: affrontare dignitosamente e a testa alta il voto al Senato, mettendo con le spalle al muro quanti vogliono strumentalizzare il loro voto per ottenere una cosa diversa dalla sicurezza».
Sta dicendo che Prodi dovrebbe insistere, togliere quell’articolo e andare avanti?
«Certamente sì, perché qualche giorno c’è ancora, e il motivo vero perché non lo facciamo è per il timore che qualche testa calda al Senato dica “allora io non lo voto”. Ma questo è un ricatto, un ricatto politico-ideologico di chi, nonostante l’urgenza e la necessità di intervenire sulla sicurezza, cerca di ottenere un vantaggio competitivo».
Con distacco, che ne pensa lei della norma contro l’omofobia?
«Il principio per cui non dev’esserci discriminazione e quindi debbano essere puniti coloro che discriminano con comportamenti attivi per motivi razziali, religiosi o sessuali, è giusto ed è previsto nella dichiarazione dei diritti dell’uomo. Ma quella norma, così come è stata posta in essere, è così ambigua e allargata che finisce paradossalmente col punire anche il prete che nell’omelia raccomanda di tenere un certo comportamento sessuale. Quella norma va scritta con senso di responsabilità, non con decretazione d’urgenza, e stabilendo precisi paletti fra i comportamenti discriminatori, da punire con mano pesante, e le opinioni, che sono invece esercizio del libero pensiero».
Perché Prodi non osa?
«Credo che sia consapevole dell’irragionevolezza di alcuni parlamentari che mai come in questo momento sentono di avere in mano l’ebbrezza del potere, e son tornati all’ubriacatura ideologica. Questo è drammatico, ed è ora di fare una scelta: affrontare la situazione a testa alta, rischiando anche di perdere la battaglia e andare a casa, ma non rinunciare a perdere la dignità. Lo dico qui perché l’ho detto anche a Prodi».
E lui che ha risposto?
«Che poteva rispondermi? Purtroppo non può tenere conto soltanto delle mie valutazioni. E io, stando nelle istituzioni, ho imparato che le regole di coalizione impongono di fare uno scalino alla volta. Il problema non è il presidente del Consiglio, è l’irresponsabilità di chi vuol profittare di ogni situazione. Ma questo pone il problema di sempre, cioè la compatibilità di una maggioranza così risicata a poter governare il Paese.
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