La dichiarazione d’intenti è rassicurante. «Sarò il sindaco di tutta Milano» dichiara il neo eletto Giuliano Pisapia. E ancora: «Sono convinto che troverò coesione quando dovrò formare la giunta». I milanesi dovranno attendere «quindici giorni», perché mettere insieme la squadra è un’impresa complessa quando la coalizione è eterogenea e va dalla sinistra comunista e più radicale fino ai cattolici ex Margherita confluiti nel Pd.
Basta fare un salto alla festa organizzata in piazza Duomo per assistere ai segnali di contraddizione: giacche e cravatte, mamme con bambini saltellano sulle note dell’Internazionale socialista. È l’inno dei «compagni lavoratori, non più servi non più signori» ad accogliere l’arrivo di Giuliano Pisapia. Più tardi tocca a O mia bela Madunina e Fratelli d’Italia. Un miscuglio di identità.
Il sindaco festeggia con la piazza, più tardi annuncia le sue tre priorità: la commissione antimafia, le piste ciclabili e i trasporti gratis per gli over 65. È tempo di progetti e il sindaco fa sfoggio di realismo: «Chiaramente con i tempi che richiede il far diventare una proposta realtà».
I numeri hanno segnato da subito l’esito del ballottaggio. Sono le 17 e 30 quando Giuliano Pisapia si presenta al Teatro Elfo, sede del suo comitato elettorale. Ha ricevuto la telefonata di congratulazioni della sconfitta Letizia Moratti. È il momento che segna la vittoria definitiva, tanto più dopo una campagna elettorale dai toni aspri come quella che si è appena conclusa: «Ho gradito molto la sua telefonata cordiale, in cui mi ha fatto i complimenti e si è detta disponibile a lavorare per Milano».
Il discorso d’esordio è da vero moderato della porta accanto, deciso a mettere a tacere gli estremismi da centro sociale: «Un abbraccio e un pensiero va ai militari feriti in Afghanistan e alle loro famiglie». Rivela di aver telefonato al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, subito dopo aver avuto certezza della vittoria elettorale: «La sua saggezza e il suo rigore morale sono per me un esempio».
Ricorda i centocinquant’anni dell’unità d’Italia, parla della vittoria di Luigi De Magistris a Napoli, cita i suoi legami familiari con il Vesuvio: «Sono di padre napoletano e mia mamma è milanese, ritengo questa concomitanza un segnale forte». Spiega la sua tattica di conquista della città: «Abbiamo sconfitto con il sorriso e con l’ironia la contrapposizione frontale, i toni duri, le menzogne». Insomma, toni da luna di miele appena agli esordi.
I cartelloni già stampati e affissi recitano: «Milano buon giorno». Al comitato c’è il pieno di elettori e anche di aspiranti assessori. «Monguzzi, ma sei in giunta?» chiedono all’esponente ex verde che ha preso molti voti. Lui si sottrae: «Domani ne parliamo, oggi è il momento della festa». Milly Moratti, rimasta fuori dal consiglio comunale, si aggira in un abitino bianco e rosso. E poi c’è Pierfrancesco Majorino, che puntava alla Cultura ma forse dovrà “accontentarsi” di Giovani e Innovazione.
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