Uno che stava all’Heysel, uno che ha visto l’Heysel, uno che in quello stadio maledetto, in quella notte maledetta ha sentito l’odore della morte, uno che ha segnato un gol su rigore alzando poi le braccia al cielo e per questo è stato censurato e insultato, uno così oggi deve parlare di Gabriele Sandri e dei teppisti italiani. Michel Platini è il presidente dell’Uefa, sta in Svizzera ma una fetta del suo cuore è rimasta in Italia. Ha visto in televisione le immagini di una domenica pazzesca, una delle tante nostre, ha ricevuto messaggi mille e domande specifiche dai vertici del calcio italiano; Abete, il presidente federale, ha chiesto quale potrebbe essere la reazione e l’opinione del governo europeo del football in caso di sospensione del campionato a tempo indeterminato.
Da dove incominciamo, presidente Platini?
«Incominciamo da quel ragazzo che è stato ucciso da un poliziotto. Perché gli ha sparato?».
Sono in corso le indagini, poi è accaduto quello che lei ha visto in televisione, la rivolta dei tifosi, degli hooligans.
«Che cosa c’entra l’omicidio in autostrada con il calcio? Nulla. Perché hanno giocato con il lutto al braccio? Se avessero ucciso un fan di Ramazzotti si sarebbe fermato il mondo della musica?».
Lei vuole dire che è contrario alla sospensione dei campionati, che il calcio deve continuare comunque, come accadde all’Heysel in quella notte?
«No, quella fu un’altra storia tragica e da quella notte non ho mai più voluto mettere piede nello stadio di Bruxelles, nonostante cento inviti e cento manifestazioni. No, non dovete confondere quello che succede all’interno del mondo del calcio con ciò che è ai margini o, addirittura, non ha alcun contatto, come l’omicidio di Arezzo».
Non confondiamo. Lei che cosa pensa?
«Penso che l’Italia stia attraversando un momento difficile, penso che il problema non sia calcistico ma sociale e che le responsabilità vadano distribuite».
Da dove partiamo?
«Vi basti un esempio: io faccio una battuta scherzosa su un calciatore o su una partita del vostro campionato e subito scoppia la guerra, la ribellione alle mie parole ironiche, la Francia odia l’Italia, finiamola con questi francesi spocchiosi. Vivete una pressione esagerata ed esasperata su tutto, stampa, televisioni, gente comune, politici. D’accordo la passione ma nei limiti».
È una storia vecchia.
«No. Quando arrivai nell’82 il vostro era un calcio simpatico, gioioso, eravate reduci da qualche scandalo che fa parte della storia dello sport dalla nascita, lo avevate superato, avevate vinto i mondiali e comunque l’atmosfera non aveva i gas di oggi. Tutto è drammatico, tutto è gonfiato».
La violenza è un fenomeno internazionale, avete pagato qualche conto anche voi, i casseurs del Paris Saint Germain, ad esempio, non sono boys scout.
«È un fenomeno circoscritto. Abbiamo avuto un morto anche noi, fuori dallo stadio ma non ci sono state le conseguenze clamorose registrate in Italia. Arresti e processi, fine».
Che cosa significa?
«Significa che il calcio, così come la società, non può essere gestito dalla polizia».
E da chi, allora?
«Dalla giustizia, dalle leggi che vanno scritte, applicate, accettate. Soltanto il rispetto dei codici può far crescere una democrazia».
Il calcio non lo fa?
«Il calcio è in mano al cinque per cento della sua popolazione. Il novantacinque per cento ama il pallone, il resto è teppismo. L’Italia è un Paese bellissimo, pieno di vita, gli state facendo del male».
L’Uefa potrebbe prendere provvedimenti contro i nostri club?
«Io devo proteggere il calcio, devo aiutarlo a crescere, verremo incontro ai diritti delle società di serie B e non affonderemo questo sport, nonostante la volontà e la violenza dei teppisti».
Domenica però la federcalcio ha rinviato alcune partite e i calciatori sono scesi in campo portando il lutto al braccio.
«Non ne capisco i motivi».
Le immagini da Bergamo hanno mostrato anche i bambini che piangevano. Gli avevano rotto il giocattolo.
«Non soltanto a loro, anche a me, il calcio è un gioco per chi lo ama davvero e per chi non pensa soltanto ai soldi».
C’è una responsabilità dei calciatori, una loro connivenza con certi settori del tifo violento?
«Perché voi giornalisti non vi ponete questa stessa domanda? C’è, da parte vostra, una connivenza con alcuni tifosi? Non esagerate nei titoli, nelle opinioni? Ma non per questo siete i soli responsabili di questo clima acceso. L’ho detto: le colpe vanno distribuite tra tutte le componenti. E a proposito dei bambini io ho una idea».
Quale?
«Di obbligare tutti, dico tutti gli spettatori che entrano allo stadio di presentarsi con un bambino al seguito. Sarebbe l’antidoto migliore, ideale, qualcuno dovrebbe contare fino a dieci prima di alzare la voce o le mani».
I teppisti di Bergamo, di Taranto, di Roma, intanto festeggiano: hanno vinto la loro sfida.
«Il calcio non è roba loro, gli stadi non sono e non devono essere le loro proprietà, il territorio libero per le loro azioni. Se la legge è uguale per tutti allora chi sbaglia deve finire in galera non per due mesi ma per due anni e non entrare mai più in uno stadio. Il calcio non è la discarica di persone represse e depresse».
Lei è
«Per forza. Il calcio è di una bellezza rara, l’Italia è uno dei Paesi più belli al mondo. Forse non ve ne siete ancora resi conto ma siete voi stessi a rovinare questo patrimonio che il resto del mondo vi invidia».
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