La poesia del critico Rilke: "La pittura di Cézanne è una cosalità illimitata"

Nel 1907 lo scrittore visitò la prima retrospettiva dell'artista. Quella fu la svolta per la sua opera

La poesia del critico Rilke: "La pittura di Cézanne è una cosalità illimitata"

Marito di una scultrice, Clara Westhoff, e amico di uno scultore, Auguste Rodin, sui trent'anni Rainer Maria Rilke possiede, maneggia, forgia ancora una scrittura plastica, tanto nella poesia quanto nella prosa. Lo fa dall'inizio, dai bellissimi racconti praghesi. La sua è un'arte tattile, quasi ludica, anche se nobilmente ludica, che nasce e si sviluppa dal confronto materiale con il mondo: sceglie fra ciò che gli viene proposto, e lo «tocca». Ma c'è un momento in cui sente di potere, di dovere fare un passo in avanti. È van Gogh a indicargli la direzione.

Parigi, autunno 1907. Lo scrittore se ne sta, da solo, al 29 di rue Cassette e scrive lettere a Clara. L'1 ottobre riceve la visita dell'amica pittrice Mathilde Vollmoeller che reca con sé alcune riproduzioni di opere dell'olandese. Sono «lavori instancabili, commoventi, da cui emergeva immediatamente il dovere di essere sani e di fare altrettanto». Ecco, l'impegno, la creazione come dovere che scavalca e mette da parte il contingente.

Poi, il giorno 6, la rivelazione definitiva. Nel suo vagabondare, Rilke giunge al Salon d'Automne che ospita, fra l'altro, la prima retrospettiva su Paul Cézanne, morto da un anno. E anche in quella sala «che subito ti chiama a sé con la forza dei suoi quadri» Rilke trova, come in van Gogh, prima di tutto l'etica del lavoro, dell'impegno. È la ricchezza della «povertà». «Tu sai - scrive a Clara - che io nelle esposizioni trovo sempre le persone che vi si aggirano molto più interessanti dei dipinti. La stessa cosa ha luogo in questo Salon d'Automne, con l'eccezione degli spazi dedicati a Cézanne. Tutta la realtà è lì, dalla sua parte: in questo denso blu ovattato che gli è proprio, nel suo rosso e nel suo verde senza ombra e nel nero rossastro delle sue bottiglie di vino. Di quale povertà sono anche in lui tutte le cose: le mele sono tutte mele da cuocere, e le bottiglie di vino appartengono decisamente a vecchie tasche logorate». Capisce che «il vecchio», come chiama il pittore, è il nuovo.

Da un po' lo scrittore ha per le mani un manufatto ancora manuale, plastico, I quaderni di Malte Laurids Brigge, memoir-autobiografia-confessione intinta nel Quartiere Latino, latore di suggestioni espressionistiche. Di questa sua opera, uscita nel '10, Rilke dirà, in una lettera del '22, che «esige da me che io ami tutte le cose che voglio raffigurare con tutte le capacità del mio amore. È questa l'irresistibile potestà, di cui egli (cioè Malte, il giovane danese suo alter ego, ndr) mi ha lasciato l'usufrutto». Ebbene, I quaderni hanno un padre (o, se vogliamo, un nonno), oltre che il fratello Rainer Maria: si chiama Paul Cézanne.

Lo spiega perfettamente il volume Quadri da un'esposizione, Parigi 1907 (Jaca Book, pagg. 200, euro 50, a cura di Franco Rella, dal 3 maggio in libreria) di cui gli autori sono due: Rilke con le sue lettere alla moglie e Cézanne con i suoi quadri che furono esposti al Salon d'Automne nel 1907, per la prima volta rintracciati e riuniti, con notevole impegno filologico, visto che «non esiste una documentazione fotografica di quella mostra epocale», dalla storica dell'arte Bettina Kaufmann.

Per due settimane, quello con la sala Cézanne è per Rilke l'appuntamento quotidiano, il corso accelerato di ciò che gli appare quasi una nuova disciplina. Confrontando i frutti di Chardin con quelli del «vecchio», il poeta ha l'illuminazione: «In Cézanne cessa del tutto la loro mangiabilità, tanto sono diventate pure cose, tanto sono diventati semplicemente indistruttibili nella loro ostinata presenza». Cose pure, indistruttibili... Non, dunque, l'effetto di una semplice impressione, bensì il precipitato, in senso chimico, della realtà. Gli oggetti, con i paesaggi e con le persone, diventano insomma concetti. E la loro apparente miseria o banalità ne amplifica la portata. I visitatori ancora non capiscono. Guardano il dito, non la luna che il dito indica. «È questa cosalità illimitata, che rifiuta ogni mescolanza in un'unità estranea, che rende alla gente i ritratti di Cézanne così urtanti e comici». Rilke, proprio per il tramite dei suoi Quaderni, allaccia il filo di Cézanne a quello di Baudelaire, che in Una carogna attiva il meccanismo dell'estetica del brutto. «Sono stato costretto a pensare che senza questa poesia tutto lo sviluppo verso un linguaggio di cose, che ora crediamo di riconoscere in Cézanne, non avrebbe potuto prendere avvio». Tutto vale come frammento di «cosalità», una mela marcia come una bella donna nuda. E tutto ha un sapore, un suono, un odore, una pelle.

Il concetto, applicato alle cose, si fa sensoriale: diventa un'impressione che non inganna.

«Il pittore (come l'artista d'altronde) non dovrebbe giungere alla coscienza delle proprie intuizioni: senza prendere la via traversa della sua riflessione, i suoi progressi dovrebbero, a lui stesso enigmatici, entrare direttamente nel lavoro, tanto da non poterli riconoscere nell'attimo in cui essi vi fanno il loro transito». Un po' mistico in estasi, un po' macchina replicante. Questo è l'artista che Cézanne ha dipinto per le parole di Rilke. E se non è modernità questa...

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