La poesia della materia nelle mani dell'altro Zanzotto

Un'esposizione sugli artisti pistoiesi del primo '900 rilancia la figura del cugino del celebre poeta

La poesia della materia nelle mani dell'altro Zanzotto

Arrivai nella notte a San Marcello Pistoiese, per vedere, a casa del nipote di Curzio Malaparte, il corpus dei disegni di Romano Dazzi. Una valanga di raffinatissime invenzioni neoquattrocentesche e neocinquecentesche in un archivio ordinato come un sepolcro, dove riposano le opere di un giovane prodigio esaltato per la sua precocità e subito dimenticato. Romano, figlio del celebre scultore Arturo, era nato a Roma nel 1905, e aveva mostrato le sue eccezionali doti nel disegno fin dalla primissima infanzia, tanto che Ugo Ojetti lo aveva presentato già nel 1918. Nel 1923 fu inviato in Libia dal governo italiano per documentare le operazioni militari, e si innamorò del mondo africano. Meriterà occuparsene; ma oggi San Marcello Pistoiese è ricordata perché è il luogo dove visse, solitario e disperato, e morì povero, un altro, meno dotato ma più turbato, artista, coetaneo di Romano Dazzi: Corrado Zanzotto. Primo cugino del celebre Andrea, poeta di molti turbamenti.

Nato a Pieve di Soligo, nel 1903, arriva a Pistoia bambino. Suo amico di infanzia è il sofisticato pittore Pietro Bugiani con il quale studierà alla Scuola d'arte dove si formano anche Renzo Agostini, Alfiero Capellini e Umberto Mariotti. Li guida, buon xilografo, il primate architetto Giovanni Michelucci, più anziano e autorevole anche nell'orientare i giovani artisti verso lo studio degli antichi maestri. È Michelucci a incoraggiare Zanzotto alla scultura, nella quale appare più saldo e consapevole che nella pittura. Da Pistoia, città adottiva, Zanzotto non manca di muoversi verso Milano, Roma e Venezia. Con Marino Marini, Bugiani, Mariotti, Agostini e gli altri pistoiesi, pur nel primitivismo mordernista, condivide lo studio dei maestri del '300 e del '400. Nella scultura questo produce un realismo brutale che ricorda il grande e folle Evaristo Boncinelli. In difficoltà durante il Fascismo, e del tutto alieno all'accomodarsi a un'arte di regime, Zanzotto ripara in Veneto pur rimanendo, lui veneto, di tradizione culturale toscana, in ideale corrispondenza con Ardengo Soffici. Nel dopoguerra ritorna a Pistoia, con un'ispirazione più fragile e indebolita, e ripiegando dalla scultura alla pittura.

Ha ben detto Paolo Gestri: «La sua vita insomma fu davvero un groviglio. D'applausi e di silenzi, di progetti e disinganni, di carte, tele e colori, viaggi e soste; l'amore infine per una modella e l'ennesimo no disillusione. L'urgenza con cui dipingeva - non è fuori luogo parlare di espressionismo -, contrastava con le riflessioni che lo irretivano nei riposi per forza; apparentemente mefistofelico, il viso aguzzo ed una barbetta a pizzo, si mostra invece nei quadri a carattere sacro - ma anche in quelli profani - profondamente religioso, intendendo per religione rapporto d'amore e d'intesa, e sintesi, tra l'umano e il divino. In fondo era sempre evangelico: se doveva decidere, rispondeva sì o no senza parafrasi, convinto e perseverante in tutti e due i casi. Una scelta di vita lodata, la sua, perché coerente, ma che lui pagò cara. Zanzotto e la pena di vivere furono la stessa cosa».

Oggi, dopo aver pubblicato un diario immaginario, pieno di stimolanti osservazioni, Marilena Zani tutela il nome e la memoria di Corrado Zanzotto, morto nel 1976. È lei a scrivere, mentre io programmo di misurarne il vivo «realismo brutale» con l'idealismo canoviano, nella Gipsoteca di Possagno, in un ideale ritorno alla terra di origine: «Un uomo vale nelle opere che lascia. Fra i tanti fogli e le frasi a volte farneticanti che Corrado ha lasciato sparse qua e là, come i suoi pensieri, queste righe sono diventate il percorso da seguire per scrivere le pagine del suo diario. Corrado è tornato spesso nei miei pensieri, affaticato, eppure vigile nei suoi ultimi giorni di vita. Quasi un patto non sottoscritto dalla legge degli uomini, quello nato fra noi, quando l'arte sembrò per un momento avere la meglio sulla morte».

Difficile dimenticarlo. S'aggirava furioso e ispirato, il pittore, sui monti. Strano di natura come vuole apparire un artista. Matto nel comune giudizio. Scendeva di tanto in tanto a Pistoia, a trovare qualche amico o mercante: stravagante e vestito sempre allo stesso modo: con un largo pastrano fuori moda, il cappello nero, un bastone perché a tre anni la poliomielite lo aveva colpito a una gamba. Eppure Zanzotto era un poeta convinto della vita e della sua pienezza. Lo mostrano i panteistici paesaggi e i nudi alla donna generatrice. Il cugino Andrea Zanzotto scrive di lui: «Negli ultimi suoi anni Corrado compì parecchi brevi viaggi nel Veneto, oltre che per l'occasione di mostre, per rivisitare luoghi che certo gli parlavano ancora per l'ultima volta. Lo rividi allora, quasi pacato da una serenità misteriosa infine raggiunta. Ma soprattutto lo immagino nel suo aggirarsi continuo, allora, per la montagna pistoiese, quella a lui più vicina, per interpretarne i più reconditi messaggi. Lo immagino nella sua fierezza, nella sua solitudine, sempre in lotta con quell'angelo quasi persecutore che aveva dentro, e pur sempre connivente con esso. Bohémien, volontariamente emarginatosi, maledetto che poi appariva inerme e persino bonario, quasi non curante dei non pochi riconoscimenti che il suo lavoro aveva ottenuti, Corrado ormai anziano sembrava conservare uno spirito di raminga gioventù e ansia visionaria quasi campaniane. Giovane egli era di fatto rimasto e sempre rivolto a quell'irraggiamento del futuro che si rivela ad ogni vera vocazione artistica».

La Fondazione Pistoia Musei, ha ora un sistema museale articolato in quattro distinti palazzi storici della città, tra i quali Palazzo de' Rossi, sede espositiva dedicata all'arte del

Novecento pistoiese. Nell'edificio settecentesco ha trovato posto la collezione di opere d'arte nata nel 1992, con l'acquisizione di un insieme di disegni e dipinti di Corrado Zanzotto, che oggi ritornano alla nostra attenzione.

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