Schlein, Saviano e i gufi del flop: quelli che non hanno capito nulla

Avevano immaginato (e raccontato) una Buenos Aires oppressa: l'abitudine del "wishful thinking" e la narrazione ideologica

Schlein, Saviano e i gufi del flop: quelli che non hanno capito nulla
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Il "capolinea", il "flop", l'"implosione". Per tutta una stampa progressista, era un destino segnato quello di Javier Milei, il presidente argentino alla prova del voto di "metà mandato". Titoli e analisi di pochi giorni fa vaticinavano infatti il crollo imminente dell'esperimento liberale di Milei. Guardavano a Buenos Aires e non vedevano l'ora di sancire il "fallimento" di questo eccentrico politico-economista con le basette e la motosega che in due anni - rivoluzionando tutti i canoni delle pratiche di governo e del discorso pubblico nel suo Paese - ha archiviato le rovinose pratiche stataliste del passato, quelle che hanno disastrato l'Argentina, un tempo tra i Paesi più ricchi del mondo. Anche stavolta, la realtà, però, ha presentato il conto: la "Libertad Avanza" di Milei ha sbaragliato gli avversari - e le fosche previsioni sul suo conto - portando a casa il 40% dei consensi. E mentre i mercati ieri erano al settimo cielo, con rialzi che hanno toccato il 25%, l'umore del ceto politico-intellettuale della sinistra andava a picco. Non si era trattato infatti di semplici previsioni sbagliate, o sballate - ovviamente - ma del più classico "wishful thinking", quel peculiare corto circuito in cui si le convinzioni si confondono coi desideri; un meccanismo già visto all'opera nelle elezioni Usa che poi hanno decretato il successo di Donald Trump, prima su Hillary Clinton, "future president" come si era incautamente definita, e poi su Kamala Harris, artefice di una "rimonta" che non si è mai concretizzata, se non nei desideri dei supporter appunto.

Il principio di realtà fatica ad affermarsi a sinistra, quando prevale la rimozione dettata dall'ideologia. E allora Trump diventa "liberista", Milei sovranista, e un po' tutti fascisti. E si va all'estero a raccontare che la democrazia, anche in Italia, è in pericolo, perché governa "la destra". Anche nel caso di Milei, al di là degli indicatori economici, la sinistra aveva costruito un'Argentina immaginaria, poi si è voltata a guardarla e non c'era più. Alla vigilia delle presidenziali, la segretaria Pd Elly Schlein, per sostenere il peronista Sergio Massa, artefice peraltro del disastro che Milei ha poi dovuto sbrogliare, aveva posto la scelta in questi termini: "Da una parte una visione di giustizia sociale, di progresso, di democrazia, di parità di genere... Dall'altra la misoginia, il razzismo, l'isolamento dell'Argentina, la mercificazione della società, la negazione dei cambiamenti climatici". Un anno fa Maurizio Landini mandava un messaggio solidale ai compagni argentini per riforme che "non solo peggiorano le condizioni di vita e di lavoro delle persone", ma "stanno mettendo a rischio la democrazia nel vostro paese e nel mondo". Una "minaccia", la stessa che vedeva Jean-Luc Mélenchon: "Quell'uomo - scriveva il leader della sinistra francese - vuole distruggere tutti i servizi pubblici". Lo schema narrativo è sempre lo stesso: l'"estrema destra" - sentenziava Landini - tenta di "limitare i diritti" e la democrazia". Una "bruttissima destra" rincarava Nicola Fratoianni di Avs.

E Saviano ancora ci crede: "In Argentina funziona perché lo Stato è stato complice del crimine. Qui funziona perché questa politica trova senso soltanto nella creazione di un nemico". Gli argentini sembrano avere un'altra opinione. Non resta che gridare ai brogli. E qualcuno fa pure quello.

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