Politica

Politica estera, l’Italia torna in gioco

È pur vero da anni che sull’aereo che lo porta all’estero ogni governante italiano si sente riconfortato. Giacché governare gli italiani, quando non è impossibile, si rivela alla fine troppe volte inutile; e i casi della politica estera sono sovente meno mutevoli e meschini di quella interna. Eppure, in pochi mesi, Berlusconi ha portato alla politica estera non solo il suo entusiasmo, ma notevoli successi. Nella crisi georgiana l’Italia è riuscita a rallentare gli eventi, garantire Putin, raffreddare la tensione. E ciò, per ammissione delle parti, e con la più seria svolta nella nostra politica estera con Nato e americani, da sei decenni. Non poco. Come non è stata da meno la maniera in cui l’Italia s’è adeguata al recente quadro europeo. Nella trattativa sull’ambiente è importante il successo per noi di un buon accordo, ma anche l’aver capito che il gioco è tutto tornato tra poche capitali. La Commissione è ormai regredita a mero segretariato tecnico, e Berlusconi ha inserito l’Italia nel gioco con Francia e Germania, e così ha vinto.
Questi i fatti. Ed essi possono giudicarsi certo anche un esito di quella certa brianzola, pratica bonomia che tanto disturba lo snobismo delle sinistre. Palesemente il nostro non è afflitto da quei sentimenti di inferiorità, i cui pessimi esiti sono state le bombe su Belgrado o una UE ridotta alla Regione Emilia. Ma è non meno importate capire che la nostra politica estera ha reagito a un quadro geopolitico mutato dalla crisi degli Stati Uniti. Condoleezza Rice si congeda con una intervista al Wall Street Journal deprimente: moralizza e non ammette che in Georgia gli Stati Uniti ci abbiano rimesso ben più della Russia. Si pensi solo all’Iran, al Medio Oriente, agli altri scenari sui quali i russi giocheranno ora da soli, dopo lo sgarbo tentato al loro gas. E forse il giudizio circa la crisi economica può essere migliore? Non direi. La spregiudicatezza di Washington ormai è scoperta: liberismo prima o keynesismo adesso, tutto pare vada bene, pur di assecondare i banchieri, e non rieducare gli Stati Uniti al risparmio. Obama sta per ora solo dimostrando che Washington non ha un disegno persuasivo di lungo periodo. Ovvio quindi che la Germania si preoccupi che da oltre l’oceano non si riprendano ad esportare debiti, e guai, come nulla fosse successo. Considerato pure che le nostre borse in Europa, per i loro rientri, crollano più di Wall Street, e malgrado da qui si siano esportate merci e non carta.
Insomma salvarsi la faccia con la novità Obama, può andar bene a taluni. Non è invece negli interessi di lungo periodo né della Germania, nemmeno della Francia, tanto meno dei russi. Il gioco ritorna perciò alle potenze europee, mentre il disegno piramidale dell’Unione Europea sbiadisce, con un Barroso riconfermato solo perché indebolito. Ecco il nuovo quadro nel quale l’Italia negli ultimi mesi s’è mossa senza mai sbagliare. E per paradosso persino quel disegno di una politica economica avara, che all’interno non giova a Berlusconi, coi tedeschi in politica estera potrebbe invece giovargli. In breve la sinistra si mostra ancora una volta distratta. Non vede, si strugge per un Kennedy-Obama che non esiste e che se davvero funzionasse, rischia poi di contraddire gli interessi dell’Europa. Del resto la geopolitica dà all’Italia una sua parte da giocare, proprio nella parte di mondo a sud della Germania, e a occidente della Russia.

Si torna all’asse inevitabile della nostra politica estera.

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