Guerra in Ucraina

La Casa bianca e le tre fasi della guerra in Ucraina

Dalla resa (possibile) di Zelensky all'invio di patriot. Ecco come si sono mossi gli Stati Uniti nella guerra in Ucraina

La Casa bianca e le tre fasi della guerra in Ucraina

In un articolo a dir la verità un po' confuso pubblicato su American Conservative, Ted Snider fa però notare un piccolo cenno del Segretario di Stato americano Tony Blinken sfuggito ai più che appare di grande interesse.

Snider ripercorre l'approccio alla guerra ucraina sia del presidente Zelensky che dell'amministrazione Usa. E ricorda come Zelensky all'inizio della guerra avesse dichiarato di esser disposto a trattare con i russi, posizione mutata in seguito con la richiesta di un ritiro dei russi da tutti i territori ucraini.

La Casa Bianca ha avuto un percorso più ondivago. Snider cristallizza tale oscillazioni in tre fasi, ma forse sul punto pecca in eccessivo schematismo. Resta, però, la cruciale la visita a Kiev, ricordata nell'articolo, di JaKe Sullivan di inizio novembre, quando il Consigliere per la Sicurezza nazionale recapitò il chiaro messaggio degli Stati Uniti a Zelensky perché recedesse dal rigetto totale di un negoziato con i russi (rifiuto che Kiev ha anche cristallizzato in una legge) e di aprirsi a una prospettiva più "realistica" sulla soluzione della crisi.

Un consiglio-diktat che aveva lo scopo dichiarato di porre fine alle mormorazioni delle Cancellerie d'Occidente, che iniziavano a dare segni di insofferenza per il massimalismo del presidente ucraino, ma anche di aprire una possibilità reale a un dialogo con i russi, tanto che, nei giorni seguenti, sia Biden che il Capo degli Stati maggiori riuniti Mark Milley dichiararono pubblicamente che l'inverno offriva una finestra di opportunità in tal senso ai duellanti (vedi Piccolenote).

Da allora nulla si è mosso. E se anche Zelensky ha dovuto piegarsi all'autorevole suggerimento, è rimasto fermo sull'idea che i negoziati erano possibili solo se i russi si fossero ritirati da tutto il territorio ucraino, Crimea compresa. Ipotesi che per Mosca era e resta inaccettabile, a meno di una sconfitta sul campo.

Fin qui il pregresso e da allora nulla si è mosso, anzi l'idea stessa dell'apertura di un negoziato è sparita dai radar. Ma Snider fa notare l'importanza dell'intervista rilasciata da Blinken il 7 dicembre scorso, nel corso di una conferenza sponsorizzata dal Wall Street Journal.

Nel suo intervento, scrive Snider, il Segretario di Stato "ha sottilmente modificato quel messaggio. Blinken ha suggerito per la prima volta, in un sussurro che appena udibile, che la parte sull''integrità territoriale' delle [pregresse] dichiarazioni di Biden può essere flessibilmente aperta all'interpretazione".

Nell'intervista, un altro cenno significativo: "Il nostro obiettivo - ha detto Blinken - è di continuare a fare ciò che abbiamo fatto finora, ovvero assicurarci che l'Ucraina abbia in mano ciò di cui ha bisogno per difendersi e per respingere l'aggressione russa, perché possa riprendersi il territorio che le è stato sottratto dal 24 febbraio" scorso.

Si può facilmente notare che la Crimea è sotto il controllo dei russi dal 2014. In tal modo, Blinken ha inteso inviare un messaggio pubblico a Zelensky, e tacito ai russi, sul fatto che gli Stati Uniti non sostengono le richieste massimaliste del presidente ucraino.

Tale distanza dà un significato più consistente a quel cenno appena udibile riguardo la flessibilità e le diverse interpretazioni dell'espressione integrità territoriale, da cui Snider fa discendere con certa sicurezza l'idea che gli Stati Uniti siano pronti a dare il loro placet a un eventuale compromesso anche sui territori del Donbass, che poi era la prospettiva realistica comunicata a novembre da Sullivan al presidente ucraino.

Si noti che l'intervista di Blinken è stata rilasciata in costanza dello scambio di prigionieri tra Russia e Stati Uniti, la Griner per Bout, avvenimento che, come avveniva ai tempi della Guerra Fredda, ha assunto un significato simbolico che va ben oltre la mera cronaca.

E si noti anche come negli stessi giorni siano iniziati gli attacchi in profondità degli ucraini in territorio russo, con lo stesso Blinken che si è affrettato a dichiarare che gli Stati Uniti non li avevano né incoraggiati né supportati.

Sembra, insomma, che la Casa Bianca stia cercando di inviare alla Russia segnali di fumo sulla possibilità di trovare una qualche intesa sul conflitto, che però trovi il contrasto di ambiti molto influenti - la Nato, l'apparato militar-industriale Usa etc - che non vuole la fine del conflitto. Troppi interessi in gioco (geopolitici, soldi).

Così la guerra continua. E si susseguono le indiscrezioni ai media su asseriti placet Usa agli attacchi degli ucraini in territorio russo, smentendo così la decisa presa di posizione di Blinken, a rimarcare che altri e non l'amministrazione Usa gestiscono il conflitto.

Una situazione della quale sembra aver preso atto il Cremlino. Se in passato aveva più volte ribadito la propria disponibilità a un negoziato, in questi ultimi giorni ha dismesso tale postura e per bocca di Putin ha fatto sapere che quanto si sta consumando in Ucraina e altrove - il confronto con l'Occidente è infatti a tutto campo, toccando anche il livello economico-finanziario - sarà un "lungo processo".

In attesa di sviluppi, di ieri la notizia che gli Usa forniranno all'Ucraina i sistemi di difesa Patriot. Un annuncio, al solito, in stile hollywoodiano. Si tratta dell'ennesima Wunderwaffen, le armi magiche, come i tedeschi chiamavano le armi avanzate messe in campo alla fine della guerra, come ad esempio le V2.

In principio, infatti furono i Javelin, celebrati dai media come armamenti prodigiosi, capaci di fermare il potente esercito russo; poi è stata la volta degli Himars, che avrebbero dovuto addirittura rovesciare le sorti della battaglia. Si è visto come né i primi né i secondi abbiano avuto esiti magici e che il loro impatto sul teatro di guerra è stato limitato, come accadrà anche per i Patriot.

Va notato, però, che i Patriot non figuravano in cima alla lista della spesa di Zelensky, che da tempo chiede invece in tutte le sedi possibili i missili a lungo raggio, in grado di colpire in profondità il territorio russo, finora negati dagli Stati Uniti che temono giustamente l'escalation (se un missile Usa colpisse Mosca, anche se a tirarlo sono stati gli ucraini, sarebbe difficile per i russi non rispondere).

Così l'invio dei Patriot appare più un modo per placare le richieste di Zelensky che non per dare un contributo decisivo all'esercito di KIev, anche perché tali sistemi di difesa non saranno in grado di porre fine agli attacchi russi in territorio ucraino.

La lotta continua.

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