L'emergenza dell'educazione

È l'eterno paradosso del gigante e del nano. Il paradosso sta proprio qui: quello che è grande, potente, forse invincibile, come la Cina con i suoi giganti di ferro e i colleghi dittatori pronti a metterli in moto, sceglie la regola della forza per giustificare il dominio

L'emergenza dell'educazione

Questa settimana si sono fronteggiati due avvenimenti a contendersi i nostri modesti pensieri. 1) L'evento grande. La parata militare a Pechino, con missili che potrebbero abbattere il Padreterno, carri ciclopici e soldati a decine di migliaia, rutilanti e perfetti come statue d'acciaio viventi. Uno spettacolo da paura cosmica rispetto a cui le adunate oceaniche di Hitler a Berlino con le truppe corazzate a passo d'oca, paiono sfilate oratoriane, 2) L'episodio minuscolo e, sul palcoscenico del mondo, insignificante: una partita tra ragazzini di tredici anni a Collegno (Torino), che alla fine si scazzottano, e un padre il quale, nel caos, aggredisce il portiere della squadra contro cui giocava la propria prole. Ri-osserviamo la scena: da una parte Cina, Russia e Corea del Nord contro America e Europa; Xi Jinping versus Donald Trump. Dall'altra: Volpiano contro Carmignanese; Thomas contro Cristian. In realtà i due mondi opposti, il macro e il micro sono collegati da un filo logico.

È l'eterno paradosso del gigante e del nano. Il paradosso sta proprio qui: quello che è grande, potente, forse invincibile, come la Cina con i suoi giganti di ferro e i colleghi dittatori pronti a metterli in moto, sceglie la regola della forza per giustificare il dominio. Invece, ma allo stesso modo, ciò che è minuscolo, in realtà rappresenta il vero, immenso caso serio delle nostre vite. È il riflesso di una società che ha smarrito le coordinate fondamentali, del rispetto e della lealtà, e si illude di poter risolvere tutto con la forza, idem allo scontro dei titani continentali, dimenticando che la verità di noi stessi si gioca nel modo di esercitare la nostra umanità e nella scelta fattiva dell'ideale di bene e di male che intendiamo proporre quale etos nazionale e morale sociale.

La differenza qual è? La minaccia sulfurea cinese ci trova impotenti, possiamo agitarci, ma fossimo milioni non sposteremmo neanche una cerbottana. È

l'emergenza dell'educazione quella che riguarda figli e nipoti - quella su cui possiamo incidere. Possiamo cambiare, magari poco,

ma meglio di niente, sia le faccende di educazione e comportamenti a un passo dal nostro naso, agendo con coraggio in famiglia e dintorni; sia facendoci valere con autorità locali e politiche nazionali. Persino Bruxelles, che pure cerca di introdurre il diritto all'aborto come assoluto, non ha in campo scolastico ed educativo gli stessi strumenti coercitivi che applica nel regolare le valvole dei caloriferi. Su giustizia e scuola siamo un pochino più liberi. E il discorso casca a fagiolo su quest'ultima, adesso che si stanno riaprendo gli istituti di ogni ordine e grado. Parto da Collegno, e quel che da lì emerge. È esplosa clamorosamente la violenza sotterranea che ci circonda, insieme all'ipocrisia con cui cerchiamo di stiparla in angoli che non sono di nostra competenza. Onde scaricarcene la coscienza. È comodo limitare il problema della violenza giovanile alle baby gang di latinos. Giustamente le denunciamo e auspichiamo un bel repulisti. Ma fosse solo quella dichiarata e programmatica la violenza circolante. Ne esiste una più pervasiva. Essa cresce sotto i nostri occhi insinuandosi nelle aule, nei quartieri, in ufficio, nelle strade. Si dirà: è da che mondo e mondo che succede, dove il prepotente preme il calcagno sul mite. Sarà. Ma noi viviamo adesso. Adesso ci tocca scegliere.

Collegno è un esempio chiaro di come di solito, per istinto, scegliamo male. Individuiamo il buono e il cattivo, per pregiudizio. All'inizio la storia era filtrata con una trama manichea: una simpatica baruffa tra tredicenni sudati nella quale si era gettato un padre energumeno a rompere le ossa di un fanciullino. La notizia diffusa universalmente, senza se e senza ma, aveva individuato in un istante nei due personaggi il buono e il cattivo. Ho rivisto il filmato, ingrandendo le immagini. La prima versione dei fatti, riferita da chissà chi, era fasulla. Dino Zoff ci era cascato in pieno, scrivendo una lettera commossa al portierino di 13 anni con il gesso alla gamba e il collare a salvaguardare la nuca. Zoff lo trattava da collega, piccolo eroe del dovere calcistico. Ci ero cascato pure io, come voi, come Buffon e Donnarumma che hanno invitato il bambinetto al raduno della nazionale

a Coverciano. Finché il giudice sportivo, letti i rapporti dell'arbitro, ascoltati testimoni indipendenti, visti i filmati ha squalificato per un anno il portierino, che ha «colpito per primo con un pugno alla nuca» un avversario, poi investendolo di cazzotti mentre era a terra. Solo allora è arrivato come una furia vichinga il padre forsennato, vendicando il proprio figliolo che ha avuto una frattura al bacino.

Non era emerso nulla di tutto questo dalle parole della famiglia ritenuta vittima esclusiva. Li capisco tutti. Ma non si educa dando man forte alle bugie difensive dei propri figli. E all'invito in nazionale bisognava insegnare a Thomas questa frasetta onesta: grazie ma non lo merito. L'esagitato genitore intervenuto malamente merita biasimo e forse il tribunale, ma non gli insulti quasi fosse un serial killer: lì a esplodere non è stato prima lui, ma un bubbone sotterraneo dentro quel mondo sportivo e scolastico di bravi ragazzi maleducati.

Questa è la vera emergenza: un problema educativo enorme, che richiede un intervento deciso e coraggioso. Perché non sono appena i colpi sulla schiena di compagni di scuola indifesi a scandalizzarci, ma la perdita di un senso di comunità, di rispetto reciproco, di lealtà. Invece ahimè germogliano i semi di un futuro che rischia di essere un deserto di predoni.

A questo punto è la scuola, il vero campo di battaglia. Se vogliamo cambiare rotta, dobbiamo partire da lì. Il ministro Valditara ha fatto del suo meglio. Ci ha restituito il latino, che non è una lingua, e la comunicazione di una civiltà e della sua pietas classica e cristiana.

Adesso occorre un'alleanza con chi tra gli insegnanti vuole trasmettere con passione non ideologie o concetti astratti, ma una passione adulta per il sapere. Che in latino vuol dire apprendere il sapore e il gusto delle cose, e della vita, se uno ne ha.

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