Il partito del Nazareno è la casa del ceto medio

Oggi quando la politica affronta le cose concrete tende finalmente ad usare una stessa lingua

Il partito del Nazareno è la casa del ceto medio

La Storia, almeno a breve termine, ha la sua logica. E in quella logica, per quello che riguarda l'Italia, non è difficile scorgere ciò che accadrà perché è già nella logica delle cose. E cioè la nascita di un unico partito della borghesia che potremmo chiamare «Partito del Nazareno».

Quando Silvio Berlusconi nel 1994 creò una grande coalizione del centrodestra sdoganando ex fascisti e leghisti ancora separatisti (altro che liste a Napoli), anticipò i tempi dell'abbattimento degli steccati o, come si dice oggi, dei «muri». Lo scopo di allora era lo stesso di oggi: dare voce a un grande ceto medio sia liberale che conservatore non più rappresentato. Quando Berlusconi lanciò con successo questa operazione, si scatenò uno tsunami per delegittimare Berlusconi, che ha finito per delegittimare la politica nel suo complesso.

Oggi, se accendi la televisione e ti trovi davanti a un dibattito già iniziato, spesso non riesci a capire subito se chi parla è di Forza Italia o del Partito democratico. Non perché ci sia confusione o appiattimento, ma perché quando la politica affronta le cose concrete tende finalmente ad usare una stessa lingua: una lingua svelenita e depurata dall'antiberlusconismo con la bava alla bocca, come anche dai cliché del centrodestra più umorale. Le umoralità ancora esistono, ma tendono a sbiadire. Tutti vedono che Berlusconi è sopravvissuto alla «soluzione finale» con cui i suoi nemici speravano di averlo spazzato via e che oggi si sentono frustrati e irati proprio perché non ha funzionato e al suo posto è emerso il «patto del Nazareno».

Per gli estremisti del nuovo giacobinismo quel patto non può che essere una tresca occulta e un mercato di favori e contropartite. Per chi non vive con i paraocchi, invece, quel patto rappresenta interessi coincidenti della stragrande maggioranza del ceto medio italiano. Perché, se è vero che Renzi alle Europee ha avuto il 40 per cento mentre Forza Italia raggiungeva il suo minimo storico (pari tuttavia al massimo del consenso che ebbe Craxi nel suo momento più glorioso), è anche vero che la grande massa dell'astensione è formata quasi esclusivamente dall'elettorato che fu di Berlusconi. Il che è del resto provato dal fatto che la massa dei voti mancanti nelle urne non è andata da Grillo se non in una minima parte, né alla Lega, ma è rimasta in montagna a scrutare col binocolo quel che succede in pianura. Scenderà a valle? Tornerà? Quella è la scommessa di Berlusconi, il quale sa che il suo elettorato può disertare, ma non passare ad altri partiti, se non in percentuale modesta. La conseguenza aritmetica di questa situazione è che Renzi può vantarsi di aver coinvolto con successo la borghesia centrista orientata un po' più a sinistra, mentre Berlusconi è considerato dallo stesso Renzi l'unico titolato alla rappresentanza dell'altra metà della mela: conservatrice, ma riformista e contraria a qualsiasi tipo di governo delle vecchie sinistre. Controprova: le sinistre del Pd e quelle esterne al partito queste cose le sanno benissimo e le fiutano nell'aria, sicché sono consapevoli di giocare una partita per la vita o la morte. E siamo pronti a scommettere che la scissione della sinistra del Pd sia soltanto questione di tempo e che quando arriverà Matteo Renzi potrà tirare un sospiro di sollievo, legittimato a rappresentare l'Italia di centrosinistra moderata che chiede, come quella moderata di centrodestra, meno tasse, più occupazione, ripresa economica e modernizzazione radicale.

Una tale strategia e tali risultati non avrebbero avuto alcuna chance di riuscita se Renzi non avesse riconosciuto a Berlusconi il peso reale che l'ex Cavaliere ha nei fatti e nella storia recente dell'Italia dopo la fine della Guerra fredda. Berlusconi ha dimostrato di saper gestire con intelligenza l'opportunità di liberare il Paese da tutti gli estremisti parolai e chiudere il tempio del dio della Guerra civile mentale in cui il Paese ha vissuto in salamoia per due decenni. E giocare il ruolo che perfino Eugenio Scalfari gli ha riconosciuto, almeno nelle intenzioni: quello di rimanere nella storia come uno dei nuovi padri della Patria.

È ovvio che coloro che ancora cercano di campare politicamente soltanto sulla guerra di religione non siano affatto contenti e che accusino i due protagonisti del Patto di tessere trame occulte. È il loro mestiere.

Ma è altrettanto ovvio che Renzi e Berlusconi lavorino per passare alla fase due: una road map che porti la borghesia produttiva, ormai estesa alla classe operaia da

una parte e alla piccola e media imprenditoria dall'altra, ad unirsi in un nuovo patto, salvo dividersi su metodi e tempi. Sulle cose cioè che fanno parte di una democrazia viva che si lascia alle spalle una balena arenata.

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