Macché Pisapia, la nuova Milano l'ha ereditata dal centrodestra

Le grandi opere in città sono firmate dalle amministrazioni Albertini e Moratti

Macché Pisapia, la nuova Milano l'ha ereditata dal centrodestra

Milano - Nei quattro anni da sindaco, Giuliano Pisapia ha magari dimostrato di non essere un grande amministratore, ma (a parte qualche neo di cui si dirà) quel galantuomo che anche chi non lo ha votato si aspettava. Buon borghese, tetragono anche di fronte all'ingordigia dei partiti «amici» che alla fine son riusciti a cannibalizzarlo, anche il Giornale ieri gliene dava atto. E proprio per questo non si meritava quegli epitaffi zuccherosi di una sinistra in realtà ben felice di toglierselo di torno. Approfittando delle sue dimissioni per usarlo ancora un po', come si leggeva ieri nella prima pagina di Repubblica dove Gad Lerner intingeva la penna nel miele per riconoscergli «un'impresa mai riuscita ai suoi predecessori, da Carlo Tognoli a Gabriele Albertini: diventare protagonista milanese nella politica nazionale». Non sarà così se la sua destinazione sarà una prestigiosa cadrega alla Corte costituzionale.

Per il resto la filippica di Lerner si esercita nella solita demolizione (e demonizzazione) di tutto ciò che non è sinistra. Perché «trasparenza e onestà sono le virtù civiche che anche gli avversari e i numerosi critici devono riconoscere» a Pisapia. E «la differenza con le amministrazioni del passato in materia di legalità risalta felicemente». Parole false, come dimostrano i fatti. Perché i nove anni dell'amministrazione Albertini, il paradigma del centrodestra ambrosiano con vicesindaco Riccardo De Corato, hanno realizzato opere pubbliche per 5 miliardi. Un libro dei sogni diventato realtà con tre depuratori che Milano aspettava da decenni, la Scala rifatta a tempo record, il Teatro Arcimboldi alla Bicoccca, le metropolitane, la Fiera a Rho-Pero, la Triennale rilanciata e i quartieri di Santa Giulia, Porta Nuova e CityLife con i loro grattacieli a ridisegnare lo skyline . Il tutto, a proposito della lezioncina di Lerner su «trasparenza e onestà», non solo senza una condanna, ma nemmeno un avviso di garanzia per sindaco, assessori e dirigenti. Proprio mentre l'uomo forte della sinistra e luogotenente di Pier Luigi Bersani allora a capo del partito era un certo Filippo Penati, fiero rivale di Albertini da presidente della Provincia e oggi accusato di concussione e corruzione per le presunte tangenti a Sesto San Giovanni. Ma citato anche dalla Corte dei conti per un danno erariale di 119 milioni nell'affare dell'autostrada Serravalle. Per questo quando parla del «marasma e dell'avidità ostentata dalla politica milanese prima di Pisapia», Lerner farebbe bene a guardare alla sinistra di Penati (e Bersani) più che alla destra di Albertini. E se magari si riferisse a Letizia Moratti, gli va ricordato che indagata fu l'assessore Mariolina Moioli e non un sindaco che comunque rimarrà nella storia per aver limitato le auto in centro, bike e car sharing e portato in Italia l'Expo. Altro che la «destra acefala» di Lerner e Repubblica , altro che Pisapia da ricordare «come il “liberatore” di Milano, dopo decenni di malgoverno». Ma di cosa stiamo parlando? L'elenco è lì da leggere. Mentre quello che lascerà Pisapia è un registro per le coppie di fatto utilizzato da poche decine di persone, la legalizzazione (bocciata dal ministero) dei matrimoni omosessuali celebrati all'estero e la gay street in via Sammartini. Poco altro. E lo stesso Pisapia ha poco da vantarsi raccontando che quando va «a New York e Shanghai tutti parlano di Milano come di una delle città più importanti del mondo». Lo fanno per i grattacieli e le archistar di Albertini e per l'Expo della Moratti. Visto che alla Prima della Scala alla vigilia dell'assegnazione dell'Expo nel 2007, dalla Moratti vennero cinque capi di Stato tra cui Giorgio Napolitano, diciannove ministri esteri e quattro italiani, più dieci sindaci stranieri. Mentre quest'anno prima dell'inaugurazione di Expo, da Pisapia non è venuto proprio nessuno. Nemmeno il nostro presidente della Repubblica o il primo ministro.

Tornando ai nei del galantuomo Pisapia, rimarrà senz'altro il non aver trovato mai nemmeno mezz'ora

per celebrare i martiri delle foibe nel Giorno della memoria. Quello istituito con una legge che lui, allora in parlamento con Rifondazione comunista, non votò. Altri sindaci (anche di sinistra) i morti li onorarono tutti.

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