nostro inviato a Marina di Pietrasanta (Lu)
Tre esami per i politici che devono salvare l'Italia: il primo su cultura generale, diritto, storia, economia; il secondo sul tasso di passione politica; il terzo sul programma politico, che parta dall'ascolto autentico della gente comune. È la ricetta di Paolo Del Debbio per formare una nuova classe dirigente capace di affrontare i reali problemi del Paese.
«Populista» e orgoglioso di esserlo, come spiega nel suo ultimo libro, il conduttore della trasmissione Quinta colonna è l'ospite della seconda giornata di Controcorrente, organizzato dal Giornale al Caffè della Versiliana. E sotto il fuoco di fila delle domande del direttore Alessandro Sallusti e del suo vice Salvatore Tramontano, Del Debbio spiega perché soprattutto il centrodestra dovrebbe saper cogliere i segreti del successo di veri populisti, come Grillo e Salvini, ma anche lo stesso Berlusconi, per puntare su pochi temi vincenti che sono quelli scelti da lui nel suo programma: i problemi della piccola e media impresa e quelli delle persone svantaggiate.
«La politica - dice - si fa con le idee e le persone. Ma quando mancano tutte e due...». La sua è una critica aspra, dall'interno del mondo moderato, una critica costruttiva. E quando Sallusti gli chiede se vorrebbe essere lui il Mister x che rimette in piedi il centrodestra, magari iniziando con il candidarsi a sindaco di Milano, allontana da sé l'amaro calice. «Faccio un lavoro che mi piace - spiega - che in tv mi consente di dar voce a quell'Italia che per me dev'essere ascoltata, andando in piazza a parlare con la gente. Mi criticano per questo, c'è chi ha chiesto la mia testa a Berlusconi, ma io sono convinto di quel che faccio. Forse, a queste persone da noia che tanti seguono me e non loro. Ma non voglio bruciare tutto, entrando in politica. Che non mi fa schifo, per carità, perché io la passione ce l'ho. Ma non sono facilmente incasellabile, ho obiettivi precisi, per questo forse dò fastidio».
Dal pubblico che affolla il parco si alza un invito: «Se non fai il sindaco, fa il coordinatore nazionale di Fi». Lui scuote la testa: «Ce ne sono tanti in fila, tanti che con il fiele in bocca mi invitano a candidarmi a Milano. Tanti di quelli che quando hanno visto Berlusconi in difficoltà hanno pensato di sostituirlo, si sono autonominati delfini. E invece vedo tanti tonni in giro e pesci palla, pescisega....», «che magari poi si alleano con gli squali», chiosa Tramontano, alludendo a Matteo Renzi. E lui si dice sgomento di fronte a un centrodestra rinunciatario, che pensa di allearsi con il rottamatore. «Come un cacciatore che si allea con il cinghiale di cui va a caccia», ride, continuando nella metafora animale.
Del Debbio non dice un no, ma neppure un sì alla sua entrata n politica. Quello che gli interessa è dare una scossa ad una situazione che vede ingessata, per troppo tempo adagiata sul successo di un leader forte come Berlusconi «che prende voti, ma anche se non ho nulla contro il tacco 12, per andare in periferia bisogna mettere le scarpe da ginnastica», avverte.
Ormai, da conduttore televisivo che mette sotto attenzione la politica, parlando più con le piazze che con i big, è diventato «attenzionato» della politica per un suo possibile, futuro ruolo attivo nello scenario delle prossime elezioni amministrative, o forse delle più lontane politiche.
«Essere populista - dice - per me va bene, se vuol dire affrontare il tema dei diritti negati nella nostra società, se vuol dire affrontare il tema dell'immigrazione, non certo come la giornalista che fa lo sgambetto ai profughi, ma dicendo che non c'è stata una ragionevole distribuzione degli immigrati in questi anni, che si può essere umani ma anche critici verso la politica del governo in questi anni».
Tramontano gli chiede se è per discorsi come questi che da Forza Italia viene percepito come pericolo più che come risorsa. Le critiche che attira, per Del Debbio sono la prova che va nella giusta direzione: «Se volessi entrare in politica - ride - tirerebbero fuori i coccodrilli per fermarmi, alzerebbero il ponte levatoio».
Parla di un altro suo cavallo di battaglia, del fisco o meglio della sua teoria del «fisco compatibile». Sua, ma in realtà intesa dai padri costituenti come limite allo Stato. «Se ho uno stipendio o una pensione - spiega- la mia capacità contributiva dev'essere compatibile con essi, non posso pagare più tasse di così, altrimenti lo Stato mi toglie i soldi necessari per campare. E allora c'è l'evasione di sopravvivenza. Ed è sacrosanta. Sacrosanta, sono milioni le persone, soprattutto tra gli imprenditori, che non ce la fanno. Ci vuole un minimo di rapporto tra doveri e diritti». Gli applausi rischiano di far venir giù il Caffè, a questo punto.
Su Renzi, premier che non è stato eletto come i suoi due predecessori, Del Debbio non risparmia stoccate. È anche per questa sua mancata investitura elettorale, dice, che non ha impegni da rispettare verso i cittadini. E anche in Europa, non può contare come dovrebbe, ma va «con il cappello in mano a chiedere di superare le politiche del rigore, interpretando le regole con la necessaria elasticità e ragionevolezza, anche con delle deroghe quando ci vogliono».
Lo Stato, spiega Del Debbio, con quel suo parlare facile che piace alla gente, deve comportarsi come ci si comporta in famiglia, la severità quando ci vuole, anche qualche schiaffo, ma tutto nella giusta misura: non è cosi che per lui lavora Renzi. «Dice che toglierà le tasse sulla casa ma costa 4 miliardi e dice anche che non li toglierà ai comuni. Allora raddoppiano, diventano 8, anche 10. Ci vuole una manovra da 25. Un sogno?».
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