Niente da fare: Marcello Dell'Utri resta in cella. Anche se la condanna per concorso esterno non è in linea con il diritto della Corte di Strasburgo. Non importa. La Cassazione ha respinto il ricorso con cui si chiedeva di cancellare la pena a 7 anni sulla base di un ragionamento che difficilmente può essere messo in discussione: il concorso esterno è stato definito solo nel 1994, ma i fatti per cui l'ex senatore è in carcere arrivano fino al 1992. Due anni prima del verdetto sul caso Demitry che segna lo spartiacque sul tema. E la Corte di Strasburgo, non qualche politico del centrodestra, ha bacchettato giusto un anno fa l'Italia per aver condannato Bruno Contrada la cui vicenda è, in termini cronologici, perfettamente sovrapponibile a quella del fondatore di Publitalia.
E però quel che vale a Strasburgo si perde in Italia. «I miei colleghi - spiega al Giornale l'avvocato Tullio Padovani, già professore ordinario di diritto penale alla prestigiosa Scuola superiore Sant'Anna di Pisa e autore della memoria presentata in Cassazione - avevano scelto la strada dell'incidente di esecuzione per avere giustizia, perché non è possibile che la sentenza di Strasburgo non venga recepita dai giudici tricolori e applicata anche a Dell'Utri. I magistrati di Palermo avevano respinto il ricorso, sottolineando che quella strada non era percorribile, e non erano neppure entrati nel merito».
Qualche mese fa, però, ecco la svolta al termine di una lunga, faticosissima battaglia procedurale: la Suprema corte, chiamata a decidere su un altro ricorso, cosiddetto straordinario, riapre la porta all'incidente di esecuzione. È quella la via corretta per ottenere il rispetto del diritto e per impedire che una persona resti in cella per un illecito che all'epoca dei fatti non era definito in modo netto. Sembra elementare, ma ora il terzo passaggio, quello che doveva chiudere la partita, finisce con un altro no. «Aspettiamo di leggere le motivazioni - aggiunge Padovani - ma debbo ritenere che questa volta il no riguardi la sostanza del problema e però voglio capire come. Francamente la sentenza di Strasburgo su Contrada mi pare elimini ogni dubbio e invece sul punto continua un interminabile gioco dell'oca».
Nessuno vuole evidentemente prendersi la responsabilità di riconoscere l'errore commesso e scarcerare Dell'Utri. Può sembrare paradossale, ma lo stesso Contrada, ammanettato nel '92 quando era ai vertici del Sisde, prosegue la sua guerra surreale contro il verdetto che macchia la sua carriera. Ha già scontato la pena, è uscito dal carcere e ha vinto a Strasburgo, ma l'Italia, pur condannata, non ne vuol sapere di ammettere la violazione. Giusto l'altro ieri davanti alla Corte d'appello di Palermo il procuratore generale Umberto De Giglio ha detto no alla richiesta del poliziotto: la revoca del verdetto di condanna non sarebbe una vittoria del diritto ma, nientemeno, una violazione della Costituzione e del principio di legalità.
Insomma, Strasburgo tira le orecchie al nostro sistema giudiziario e i giudici italiani, almeno fino a questo momento, non solo non corrono ai ripari ma contrattaccano.
L'Italia si allontana dall'Europa.Risultato: Dell'Utri resta in cella a Rebibbia. In attesa di un'altra sentenza: quella sull'incompatibilità delle sue condizioni di salute con la detenzione dopo la grave malattia che l'aveva colpito questa estate.
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