Cronache

Accuse false, prove inesistenti. Contro Becciu processo farsa

Non c'è traccia del peculato che costrinse Bergoglio a sfiduciare il cardinale allora alla Segreteria di Stato

Accuse false, prove inesistenti. Contro Becciu processo farsa

«Beati i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli». Non sappiamo quanto spazio occupino le beatitudini evangeliche nelle preghiere del cardinale Giovanni Angelo Becciu. Ma a distanza di due anni e mezzo dall'esplosione dello scandalo per l'acquisto del palazzo di Sloane Avenue a Londra e del buco da 400 milioni nei conti del Vaticano, il processo che lo vede alla sbarra assieme ad altri dieci imputati per una raffica di reati (appropriazione indebita, abuso d'ufficio, truffa e riciclaggio) è ancora al palo.

Non certo per le schermaglie procedurali delle difese. Ma a causa di un mix di strategie del magistrato dell'accusa in Vaticano si chiama Promotore di Giustizia - tra complicazioni, violazioni del codice rilevate dal Tribunale (omessi interrogatori) e questioni sulla conoscenza degli atti tuttora da risolvere. Così chi si professa innocente, come Becciu, viene lasciato appeso al nulla. Senza neanche la possibilità di difendersi nel merito. Come spesso accade al di là del Tevere, la parità tra accusa e difesa è un miracolo incompiuto.

Il presidente del Tribunale vaticano, l'ex procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, deve intervenire a più riprese. Costretto a strigliare i Promotori di giustizia fino ad «ammonirli» con due ordinanze per mettere a disposizione delle difese tutte le prove e i documenti. Tutte: senza eccezioni, omissioni o riserve e depositi parziali com'è invece accaduto. È ancora così. Nell'ordinamento vaticano manca il filtro del gip, il dibattimento è sostanzialmente automatico, si chiama istruzione sommaria. Più di così proprio non può fare. Almeno fino a domani, 1° marzo, quando si deciderà se il processo può andare avanti o no.

L'affaire londinese sembra di fatto sfiorare appena Becciu, presto vedremo perché. A turbare il prelato, soprattutto, è la storiaccia del presunto peculato nel paese natale di Ozieri. E qui iniziano le stranezze. Il 24 settembre 2020 Becciu comunica che il Papa lo ha chiamato e sfiduciato perché si sarebbe impossessato di 100mila euro erogati nel 2018 alla diocesi di Ozieri a titolo caritatevole dall'Obolo di San Pietro. Peccato che i soldi siano ancora oggi accantonati in un conto corrente Caritas: serviranno per realizzare un centro polifunzionale a vocazione caritatevole, su un terreno donato dal Comune di Ozieri. In fasi successive, senza motivarne fino in fondo gli elementi, l'accusa contesta altri due bonifici a Becciu, 100.000 euro nel 2013 e 25mila del 2015. Il primo, in realtà, è un prestito privato del cardinale, in astratto neanche contestabile come peculato: serviva a finanziare la realizzazione di un panificio a vocazione sociale per far lavorare persone con un passato difficile come ex detenuti o ex tossicodipendenti. Il secondo era necessario per comprare un macchinario del forno distrutto in un incendio.

Ma per la stampa mainstream l'ombra del peculato si è ormai allungata. La reputazione di Becciu finisce calpestata senza motivi né prove, deve ammetterlo anche l'accusa del Santo Padre. «In sostanza, le accuse servite a sfiduciare Becciu, sotto un profilo fattuale, non esistono» dice al Giornale il suo legale, Fabio Viglione.

E Londra? Cosa c'entra davvero Becciu con la presunta speculazione edilizia e l'ammanco di 400 milioni di euro? Nulla, come vedremo. I fatti: monsignor Alberto Perlasca dal 2009 al 2019 è il capo dell'Ufficio amministrativo in forza alla Prima sezione della Segreteria di Stato, deputata agli Affari Generali. È lui che coordina le proposte d'investimento, parla con i consulenti finanziari esterni, ne verifica le proposte e le sottopone al suo superiore, il Sostituto per gli affari generali della Segreteria di Stato. Becciu, appunto, che poi diventa cardinale ed è sostituito da monsignor Edgar Peña Parra. Se c'è un buco o un problema tra i conti finanziari deve accorgersene e affrontarlo Perlasca in ragione della funzione e responsabilità del suo ufficio. Il monsignore, difatti, viene interrogato per sei volte in un anno, da imputato (quattro delle quali senza la presenza di un avvocato, cui lo stesso aveva rinunciato come permette, a differenza di giurisdizioni più moderne, il vetusto codice vigente oltre Tevere). Alla fine il Promotore di Giustizia decide di archiviare la sua posizione senza rinviarlo a giudizio. Molti mesi dopo si scoprirà perché: per i magistrati della Santa Sede Perlasca sarebbe stato «ingannato» dagli investitori, forse anche a «cagione di una negligenza mai trasmodata nella consapevolezza e, quindi, nella correità». Ma allora la stessa giustificazione non dovrebbe valere, a maggior ragione, per Becciu?

Di certo, l'operazione di Sloane Avenue è comunque portata avanti dal successore, monsignor Penha Parra. Non da Becciu. È Penha Parra a richiedere il prestito allo Ior da 150 milioni di euro che fa scattare l'alert alla magistratura vaticana. Neanche Penha Parra è indagato. Perché, prima dell'archiviazione di Perlasca, monsignor Parra consegna un memoriale in cui denuncia un «Sistema» interno all'Ufficio Amministrativo della Segreteria di Stato guidato dallo stesso Perlasca. Il dossier, va detto, chiama in causa perfino l'attuale Segretario di Stato Pietro Parolin: avrebbe avallato l'operazione Sloane Avenue in base ai documenti firmati di suo pugno emersi negli atti giudiziari. Parolin non è tra gli indagati.

Non solo. Agli atti del processo mancano valanghe di documenti. I Promotori di Giustizia non li hanno ancora depositati, eccepiscono le difese. Già era stato disposto dal Tribunale un parziale annullamento delle imputazioni «per ritenuta violazione dei diritti di difesa» visto che l'accusa non svolge una serie di interrogatori preliminari. Ora, dopo l'annullamento parziale e mesi di «limbo», il processo è di nuovo ripreso per tutti. Ma è sempre fermo alla fase delle questioni processuali.

Ad oggi alle difese non sono state consegnate né le registrazioni complete degli interrogatori di monsignor Perlasca, che risultano in alcune parti omissate, né le copie forensi delle centinaia di dispositivi informatici sequestrati, né larga parte degli atti e dei documenti raccolti nelle indagini. Di fronte alle proteste unanimi e ripetute dei legali, l'accusa ha invocato varie ragioni ostative, in principio la privacy degli interessati (in relazione, originariamente, alle registrazioni audiovideo degli interrogatori). Il Tribunale ha costretto al deposito della documentazione audio e video degli interrogatori, stando a quanto eccepito dai legali. Ma le registrazioni risultano ancora incomplete, financo censurate con omissis. Non basta. Sui 255 dispositivi informatici sequestrati, gli avvocati contestano la mancanza di 239 copie forensi. E le 16 rimanenti sono parziali. Strano, vero? E sulle registrazioni degli interrogatori «ad insondabile sindacato dell'Accusa in quei frangenti sarebbero stati trattati temi non pertinenti al processo, in altri (e non specificati) casi, andava tutelato il segreto investigativo per indagini allora in corso» lamenta la difesa. Sulle copie dei dispositivi informatici i legali eccepiscono lacune ancora più ampie: su un totale di tre terabyte di dati dei dispositivi di Perlasca, sono stati rilasciati solo tre gigabyte.

Una partita ad armi impari, insomma, con tante udienze a vuoto. Le ordinanze del Tribunale, però, sono molto chiare. L'accusa deve depositare tutti i documenti e metterli a disposizione delle parti. Si può fare il processo senza mettere a disposizione delle difese tutti gli atti e documenti? No, eppure...

A pensar male si fa peccato, soprattutto in quella sponda del Tevere. Di certo, questo balletto sul procedimento e sulla conoscenza completa dei documenti è nemico della verità. Anche di quella forse troppo frettolosamente sussurrata a Papa Francesco. Forse qualcuno dentro il Vaticano ha preferito sacrificare Becciu per salvare qualcun altro. Ma chi?

Come diceva Pio X, i nemici dentro la Chiesa sono i più dannosi.

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