Era il 1976 e fu per Tina Anselmi che per la prima volta in Italia ci si pose il problema di declinare al femminile la parola «ministro». Nelle immagini d'epoca in bianco e nero spicca il suo abitino a fiori, nella sala dorata del Quirinale, sul mare di completi maschili scuri al momento del giuramento di fronte al capo del governo Giulio Andreotti e al presidente della Repubblica Giovanni Leone. Per le donne divenne subito un simbolo, l'emblema di una parità di genere conquistata con fatica e determinazione negli anni più difficili della nostra a Repubblica.
La staffetta partigiana del Veneto, nome di battaglia «Gabriella», poi l'insegnante cattolica, la sindacalista nella Cgil e nella Cisl appena nata, l'agguerrita democristiana della prima ora, ne aveva fatta di strada per diventare la prima con un ministero ai suoi ordini, quello del Lavoro e della previdenza sociale. E quando passò a quello della Sanità, nei governi Andreotti IV e V, lasciò un segno profondo con la riforma che introdusse in Italia il servizio sanitario nazionale.
L'incarico più delicato, però, arrivò nel 1981, come presidente della Commissione di inchiesta sulla loggia massonica P2 di Licio Gelli, che lavorò per 4 anni. E allora la sua rettitudine morale, il suo inflessibile rigore ne fecero una figura «scomoda» per molti nel giro del potere vero.
La prima donna presidente della Repubblica avrebbe potuto avere il nome di Tina Anselmi e per anni, tra il 1992 e il 2006, la sua candidatura fu sostenuta da fan eterogenei, dal settimanale satirico Cuore al gruppo parlamentare la Rete di Leoluca Orlando, fino ai blogger che lanciarono una campagna mediatica.
Ma forse da moralizzatrice si era fatti troppi nemici e al Quirinale non arrivò mai, la premiarono invece con l'onorificenza di Dama di Gran Croce al merito della Repubblica.
Esce di scena a 89 anni, in questo 2016 che celebra i 40 dalla sua nomina a ministro. Le è stato dedicato un francobollo (la prima volta per una singola persona ancora in vita) che non vedrà mai, perché verrà emesso il 2 giugno per la Festa della Repubblica. Ora tutti la celebrano come Madre della patria e della democrazia, simbolo di impegno politico e civile per tutte le donne italiane e sembra che la morte abbia ristabilito l'unanimità.
Rosy Bindi, che si è attribuita il ruolo di erede politica della Anselmi, ne spiega la figura parlando della sua «forza gentile», di combattente contro «la violenza nazifascista» come contro «le insidie dei poteri occulti della massoneria deviata e della P2». Ma certo la sua distanza da ogni furore ideologico, il suo equilibrio e il suo mettere le istituzioni prima della parte politica non si riconoscono nella foga faziosa dell'allieva Rosi, che vorrebbe raccoglierne il testimone.
Il sorriso un po' timido di Tina, la mascella quadrata e volitiva, nascondevano dietro l'aspetto da massaia veneta una personalità politica di prim'ordine. Quella che ha incarnato la buona politica d'altri tempi, oggi smarrita nella rissa di avversari che perdono di vista il bene comune.
La democrazia, ricordava la Anselmi, è un «bene delicato e fragile», non bisogna considerare mai «irreversibili» le vittorie ottenute. Per lei, credente convinta e democristiana di sinistra nell'animo, non si deve mai abbassare la guardia ma vigilare sulle istituzioni prendendosi, diceva, «ognuno la sua parte di responsabilità».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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