Africa, Parigi pronta a sdebitarsi "Subito indietro le opere d'arte"

Un rapporto chiesto dall'Eliseo spiega come e quando restituire i 90mila manufatti esposti nei musei francesi

Africa, Parigi pronta a sdebitarsi "Subito indietro le opere d'arte"

Novantamila opere d'arte. Settantamila solo al Quai Branly di Parigi, voluto dall'appassionato di arte etnica ed ex presidente Jacques Chirac. Un patrimonio africano tutto esposto nei musei francesi. E che ora rischia di riprendere la strada di casa, svuotando sale e gallerie e lasciando i turisti a bocca asciutta. Sul tavolo del presidente Emmanuel Macron arriva oggi un rapporto che spiega come e in che tempi attuare la promessa che l'Eliseo stesso aveva fatto un anno fa. «Non posso accettare che gran parte dell'eredità culturale africana si trovi in Francia - diceva Macron nel novembre 2017 di fronte a centinaia di studenti dell'università di Ouagadougou, Burkina Faso -. Questa arte deve essere esposta a Parigi ma anche a Dakar, Lagos e Cotonou: sarà questa una delle mie priorità». Detto fatto: Parigi ha affidato il compito di studiare la realizzazione del progetto a due ricercatori, la storica dell'arte francese Benedicte Savoy e lo scrittore senegalese Felwine Sarr, che ora sono venuti a capo della questione. E chissà se il presidente gradirà, dato che il rapporto raccomanda di iniziare a restituire il dovuto già a partire dall'anno prossimo.

Il problema è che bisogna modificare la legge. Le norme in vigore, infatti, vietano al governo di cedere i beni di proprietà dello Stato, anche nei casi in cui sia provato che quel materiale è stato sottratto. Secondo Savoy e Sarr, in ogni caso, ne vale la pena. «In un continente in cui il 60% della popolazione ha meno di 20 anni, è di primaria importanza dare accesso ai giovani alla loro cultura, creatività e spiritualità che arrivano da un'altra epoca», si legge nel documento anticipato dalla stampa internazionale. Se Macron raccoglierà i suggerimenti richiesti, già nel 2019 si partirà con la restituizione delle opere «portate via dal territorio di origine durante il periodo coloniale francese». Poi, nei prossimi tre anni, Parigi dovrà fare un inventario dei pezzi di cui è in possesso, digitalizzare questi archivi e istituire una commissione che valuti le richieste. Saranno infatti i singoli Stati africani a dover presentare domanda alle autorità francesi.

In realtà, a chiedere la restituzione del proprio patrimonio sono pochi Paesi africani (e alcuni asiatici). Qualcuno però c'è, come il presidente del Benin Patrice Talon, che nel 2016 ha alzato la voce proprio con la Francia, chiedendo - inutilmente - di poter riavere le sculture, gli scettri e le porte sacre di cui sono stati spogliati i palazzi di Abomey, antica capitale del regno di Dahomey. Così come la Nigeria, che al British Museum di Londra ha chiesto indietro la collezione di bronzi del Regno del Benin (che occupava un territorio oggi sotto la giurisdizione nigeriana). Domanda accolta, ma solo sotto forma di prestito.

Ma anche le altre ex potenze coloniali sono piene di gioielli etnici: dal Belgio (180mila pezzi) all'Austria (37mila solo al Weltmuseum di Vienna). Il tema continuerà a far discutere, vista anche la prossima apertura (a fine 2019) a Berlino dell'Humboldt Forum, che esporrà centinaia di manufatti africani e asiatici.

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