Un anno di lavoro. Seicento persone coinvolte, tra esperti e cittadini comuni. Ottanta organizzazioni coinvolte per stilare 9 princìpi che rappresentano i diritti fondamentali del futuro online. E sopra tutto una missione: salvare il web, da se stesso, dalle sue storture, dall'odio che lo attraversa, dai rischi in cui si inciampa quando lo si usa, per lavoro, per diletto, per necessità. In modo che sia una forza per il bene, da cui tutti possono e devono trarre beneficio, invece che uno strumento del male. Per portare a compimento il piano è sceso in campo il padre di Internet, il londinese Tim Berners-Lee, 64 anni, l'uomo che nel 1980 inventò e realizzò il World Wide Web, la scoperta che ha rivoluzionato la comunicazione e connesso il mondo. Oggi professore al Mit, il Massachusetts Institute of Technology di Cambridge, Massachusetts, Berners-Lee ha lanciato in queste ore, tramite la sua World Wide Web Foundation, il «Contratto per il Web», che impegna i firmatari a proteggere la Rete dagli abusi, a spingere perché resti un beneficio per l'umanità e più concretamente a lavorare a soluzioni per risolvere i problemi più grandi. Come? Facendo il modo che il web arrivi a tutti - oggi metà della popolazione mondiale non può accedervi - ma anche che sia regolamentato da leggi più incisive, «per assicurarsi che la ricerca del profitto non giochi a spese dei diritti umani e della democrazia». «Se non si agisce adesso per evitare che il web sia usato male da chi vuole sfruttare, dividere e indebolire - ha spiegato al momento del lancio Berners-Lee - rischiamo di dissipare il suo potenziale per sempre». E ancora: «Se lo lasciamo così com'è, molte cose andranno storte». E il sogno di Internet rischia di trasformarsi una utopia negativa, una «distopia digitale».
Tre i princìpi fondamentali per ognuno dei tre attori coinvolti: governi, aziende e società civile. Tra cui emergono: la garanzia che tutti abbiano accesso alla Rete, che Internet sia a disposizione in maniera completa e in ogni momento, che ci sia il rispetto e la protezione, fondamentale, della privacy e dei dati degli utenti. Linee-guida disattese in varie parti del mondo, a fasi alterne. In questi giorni Internet è bloccato in Iran, dove il regime teme che possa aiutare i manifestanti a diffondere messaggi anti-governativi e immagini sulla repressione. E da tre mesi è blackout anche in Kashmir, dove l'India ha revocato l'autonomia costituzionale della regione. La stretta ha riguardato di recente anche il Venezuela sull'orlo della guerra civile, la Cina, e in modo discontinuo anche Hong Kong (dove per ora è a disposizione degli studenti pro-democrazia). Quanto alla gestione dei dati, il contratto prevede che ogni utente possa avere accesso a quelli che lo riguardano, da chiunque siano detenuti, e che abbia il diritto di contestare il loro utilizzo e vietarne l'uso in qualsiasi momento.
Emily Sharpe, direttrice delle politiche della World Wide Web Foundation, sogna una mobilitazione internazionale: «Abbiamo bisogno di un movimento globale come quello che c'è sul clima, così che governi e aziende siano più responsabili». Il punto è che tra le 150 aziende firmatarie ci sono, oltre a Microsoft, anche Google e Facebook, oggi principali imputati per l'uso improprio dei dati e per gli scarsi controlli contro l'hate speech. Appena qualche settimana fa Google ha ammesso di aver acquisito, senza previso consenso, i dati sanitari di 50 milioni di americani. Grandi assenti, almeno per ora, Amazon e Twitter.
In base al contratto, chi non rispetta i suoi principi, sarà cancellato dalla lista dei sostenitori. Vedremo in quanti sopravviveranno al progetto di papà Berners-Lee per salvare il web. O preferiranno salvare i loro profitti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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