Non fa una piega, Mario Draghi non muove neanche un muscolo facciale quando alle tre di pomeriggio entra a Palazzo Madama stringendo in mano i fogli del discorso. Teso? Preoccupato per la tenuta della maggioranza? «Chi, io? Non so, vediamo...». Infatti si vede alla fine quando tutto s'aggiusta, i grillini si accontentano, la nave va. E non si piega nemmeno la linea, non si sgualcisce nonostante le polemiche, le bizze grilline e il caso Di Maio. «L'Italia continuerà a lavorare con l'Unione europea e i partner del G7 per sostenere l'Ucraina, ricercare la pace, superare la crisi. Questo - scandisce il premier - è il mandato che il governo ha ricevuto dal Parlamento, da voi, questa è la guida per la nostra azione». Barra dritta, nessun commissariamento, Conte si può mettere tranquillo.
Dunque, prova superata: 219 a favore, 20 no, 22 astenuti. Certo, è stata una settimana agitata, con il primo partito della coalizione lacerato, il ministro degli Esteri che lascia M5s per fondare un suo raggruppamento, i grillini che rivendicano la Farnesina, ma insomma, sono quasi dettagli, Draghi può presentarsi al Consiglio Ue personalmente rafforzato dal dibattito. «La strategia italiana - spiega - si muove su due fronti. Sosteniamo l'Ucraina e le sanzioni alla Russia affinché Mosca accetti di sedersi al tavolo dei negoziati». Non sono previste rese. «Solo una pace concordata e non subita può essere duratura, una sottomissione violenta porta al prolungamento del conflitto. A quasi quattro mesi dall'inizio dell'invasione continuano ad emergere nuove atrocità verso civili. Le responsabilità saranno accertate e i crimini puniti». E ricostruiremo l'Ucraina, promette, con «l'impegno degli organismi finanziari internazionali».
Draghi parla venti minuti. Dice che «le sanzioni funzionano», «l'Fmi prevede per la Russia un calo del Pil dell'8,5 per cento», assicura che «i canali della diplomazia restano aperti», avverte dei rischi della crisi del grano, con milioni di tonnellate bloccate e le prospettive di fame «dei Paesi più poveri». Quanto al gas, che Mosca ci sta tagliando, «ci siamo mossi per tempo e dall'anno prossimo avremo una riduzione significativa della dipendenza energetica». L'inflazione, è vero, è arrivata a quota 7,3 per cento, «però quella di base, che esclude i beni energetici e alimentari, è meno della metà». E comunque «il governo ha già stanziato trenta miliardi in aiuti alle famiglie e alle imprese».
A Bruxelles Draghi insisterà sull'imposizione di un tetto al prezzo del gas russo, «una soluzione che proponiamo da diversi mesi e che consentirebbe di ridurre i flussi finanziari verso Mosca: la Commissione sta verificando la possibilità». Intanto si fa strada l'idea di Roma di accorciare le procedure per l'ingresso di Kiev nell'Unione. «L'allargamento della Ue comporterà però una riflessione profonda sulle regole», a partire dal criterio dell'unanimità che spesso paralizza l'Europa.
Applausi, dibattito colorito, che Draghi segue sempre impassibile, finché non tocca al senatore di Cal Emanuele Dessì, che si lancia in un contorto discorso sul «vergognoso dossieraggio». Il premier allora si volta verso Luigi Di Maio, mette le dita a tulipano e, con il famoso gesto della ipotiposi digito-interrogativa descritto da Gadda nel Pasticciaccio, gli chiede «ma che dice?». Intanto gli sherpa, dopo una dozzina di ore di riunioni spalmate in due giorni, hanno confezionato la mozione unitaria della maggioranza che mette tutti d'accordo dando ragione a Draghi e lasciando a Conte le briciole del «necessario coinvolgimento del Parlamento» ma «con le modalità ivi previste» nel primo decreto di febbraio sulle armi.
Si vota, si ribattono le mani al premier, si ascolta la replica.
Ultrarapida, un flash di cento secondi. «Ringrazio il Senato per la prova di unità. Le decisioni che si devono prendere sono complesse e profonde e hanno risvolti morali, avere il sostegno parlamentare e molto importante per me». Oggi alla Camera.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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