Alcide De Gasperi: Il più grande statista del ‘900 italiano

Alcide Amedeo Francesco De Gasperi (3 aprile 1881- 19 agosto 1954) è considerato dalla storiografia moderna come uno dei più grandi statisti italiani. Tanto che lui amava ripetere: "Il politico guarda alle prossime elezioni, lo statista alla prossima generazione"

Alcide De Gasperi: Il più grande statista del ‘900 italiano

Enzo Biagi, riguardo a uno dei più illustri padri della Democrazia Cristiana, scriveva: “De Gasperi è scomodo per i potenti d’oggi. De Gasperi è una figura di statista che ti spinge a fare confronti tra i suoi comportamenti, i suoi riserbi, la sua sobrietà, la sua solitudine e lo stile di vita di coloro che vogliono accreditarsi come i suoi eredi. Lui rispondeva solo alle sue idee e alla sua coscienza. Lo celebrano, lo ascoltano, lo esaltano, ma non fu amato e non fu capito. Nemmeno dai suoi. Per tutti gli anni in cui lavorò nella Biblioteca Vaticana, non ebbe mai una visita da un prelato, anche se poi aggiungeva: “Ho un debito di gratitudine poiché con le 700 lire che guadagnavo ogni mese ho mantenuto la famiglia”.

Dalla penombra e dalle ceneri della guerra perduta, l’Italia vide emergere un personaggio inconsueto, rigoroso e austero, lontano dalla retorica e dalla narrativa teatrale della politica a cui gli italiani erano stati abituati durante il fascismo ma anche prima, nell’Italia liberale.

Nato in un piccolo borgo di montagna, Pieve Tesino (vicino Trento), circondato da castagneti, abeti, pini e dal suono dolce e rilassante dei pascoli. Poi ci sono i campanili e le chiese che con loro suono segnano le ore nel vuoto delle valli. Gente semplice gli abitanti, contadini e massaie che lottano nella loro quotidianità contro le fatiche e i dolori di una vita dura ma ricompensata dall’amore per i loro monti, per la loro terra, per i loro bestiami.

A Borgo Valsugana, De Gasperi abitava nella prima grande casa, a sinistra venendo dalla stazione. “La casa, bassa, un po’ tozza, in pietra e dagli alti soffitti - ricorda la figlia Maria Romana – ha i tappeti e i mobili scuri che sembravano a proprio agio, certi di vivere a lungo”.

In questo umile mondo contadino, molto ‘verghiano’, in cui si cercava attraverso i veri valori della vita di proteggersi dalla “fiumana del progresso”, nacque Alcide De Gasperi. Il più grande statista del ‘900 italiano e, assieme a Cavour ed Einaudi, uno dei padri della patria. De Gasperi era un uomo dall’aspetto apparentemente severo e asciutto nell’eloquio. Occhi grigi e volto di pietra, con evidenti e scavati segni di anni di lotta e sofferenze, mantenne sempre un carattere calmo, paziente, quasi “liturgico”.

Era un uomo di grandi ideali, di specchiata onestà, un servo devoto di Cristo e cercò sempre nel corso della sua vita di non perdere mai la speranza ed il senso della fede, la sua vera àncora di salvezza insieme all’amore per la famiglia nei tanti momenti bui in cui tutto sembrava perduto.

Egli seppe conciliare la fede con l’amore per la patria. Pur mantenendo distinte le due sfere d’influenza. Politico accorto e realista, di rara modestia, consigliava ai giovani di non lasciarsi andare alla “mitologia politica” e proprio ad un Congresso della gioventù democristiana disse: “Non ci sono uomini straordinari. Non ci sono uomini entro il Partito e fuori, pari alla grandezza dei problemi che ci stanno di fronte [...] Per risolvere i problemi, vi sono vari metodi: quello della forza, quello dell’intrigo, quello dell'onestà, quello della fermezza in una fede sicura. Se io sono qualche cosa, in questa categoria, mi reputo di appartenere alla terza. Sono l’uomo che ha l'ambizione di essere onesto. Quel poco di intelligenza che ho la metto al servizio della verità] Non voglio essere altro. Quindi il grido di “Viva De Gasperi”, lo traduco “Viva l’uomo di buona volontà che cerca la verità”.

La nomina a presidente del Consiglio

Nel difficilissimo momento del dopoguerra, in cui la fame, la miseria, i contrasti politici e sociali tra forze democratiche, comuniste e monarchiche infiammavano la vita politica del paese, ecco che Alcide De Gasperi seppe guidare il popolo italiano, con fermezza, intelligenza e lucidità, cercando di unirlo e di rinfrancarlo. Molti lo criticarono, soprattutto i comunisti di Togliatti, pensando che volesse distrarre l’opinione pubblica, che era al servizio del Vaticano e degli Stati Uniti, ma niente fermò la sua ascesa, data dal suo prestigio personale e culturale.

Nel 1945 fu nominato presidente del Consiglio dei ministri, l’ultimo del Regno d’Italia; carica delicatissima in un momento drammatico: l’unità nazionale – faticosamente raggiunta – era messa in pericolo e tra il governo e la casa reale gli scontri di palazzo furono durissimi.

Alle 22:10 dell’11 giugno 1946, De Gasperi, a colloquio con il Re, tra galanteria politica e diplomazia, ormai in rotta con il marchese Luciferino che accusava (nuovamente) il governo di fare pressione sulla Cassazione per accelerare i lavori, De Gasperi, si rivolse al marchese dicendo: “Io ho finito il mio latino, si vuole ricorre alla forza? Va bene, vorrà dire che io verrò a trovarla a Regina Coeli o Lei verrà a trovare me”. Fu uno scontro che fece tremare il già fragile Statuto albertino.

Durante tale governo fu proclamata la Repubblica e perciò De Gasperi fu anche il primo presidente del Consiglio dell’Italia repubblicana.

Il 9 dicembre del 1946 fu invitato dall’amministrazione americana, e nel suo viaggio negli Stati Uniti (4-17 gennaio 1947) mise fine all’isolamento internazionale dell’Italia. Il presidente Truman rimase colpito da quest’uomo, che rappresentando un paese sconfitto, demoralizzato, alla fame e con poche prospettive per il futuro, seppe dare prova della sua grande dignità, ma anche della sua tenacia e soprattutto del suo essere italiano nonostante Mussolini con disprezzo lo chiamasse “l’austriacante”.

Parlò a nome del popolo italiano, mantenendo la schiena dritta e non venendo meno ai suoi principi cristiani e liberali. L’Italia era sì un paese sconfitto, ma De Gasperi – con la sua squadra di governo aiutata anche dal ruolo fondamentale degli ambasciatori a Parigi, Londra, Washington come ad esempio Tarchiani – riuscì a far passare un messaggio di svolta, autorevolezza e sincera amicizia tra due nazioni che avevano a cuore i destini, la stabilità e la pace del mondo occidentale. L’amministrazione Truman non esitò a concedere prestiti e aiuti alimentari.

L’Italia della ricostruzione di De Gasperi prese avvio dopo questo fondamentale viaggio, che lui fece accompagnato dall’amata figlia e segretaria particolare, Maria Romana.

Il 10 agosto 1946 si era invece recato invece a Parigi, con il ministro degli Esteri Carlo Sforza, per partecipare alla Conferenza che doveva stabilire le clausole del Trattato di pace. I diplomatici lì convenuti presentarono il conto da pagare ai paesi sconfitti. Il presidente del Consiglio italiano prese la parola per pronunciare uno dei suoi interventi più memorabili, esordendo così: “Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me”. Nessuno applaudì, solo il Segretario di Stato americano James Byrnes si alzò per andargli a stringere la mano e fu l’unico gesto di umanità.

La rottura con il Pci

Tra crisi di governo, attacchi da parte di molti Paesi che ci vedevano come sconfitti in ogni campo, l’avvio difficile del Piano Marshall, l’Italia che andò a votare nel 1948 (ben il 92% degli aventi diritto), ebbe fiducia in De Gasperi e per la Democrazia Cristiana fu un trionfo: maggioranza relativa dei voti (48,5% alla Camera dei Deputati, 48,14% al Senato) e la maggioranza assoluta dei seggi.

Personalmente il presidente democristiano ottenne un plebiscito di preferenze, battendo enormemente gli altri leader. Dopo queste elezioni iniziò la vera e propria fase del ‘centrismo’ con De Gasperi che volle però allargare l’esecutivo.

La Democrazia Cristiana di De Gasperi si mostrava come un partito fortemente interclassista, capace di catturare il consenso nei diversi e divergenti strati sociali del paese: dal piccolo mondo rurale del mezzogiorno alle grandi proprietà fondiarie e imprenditoriali del nord. Se poi ci soffermiamo allo straordinario risultato raggiunto alle elezioni del 18 aprile del 1948, quella che De Gasperi definì “una battaglia di civiltà”, osserviamo che il partito raggiunse la maggioranza assoluta alla Camera e una maggioranza risicata al Senato. Questo risultato, contrariamente alle spinte che venivano dalla Chiesa e da settori interni alla dc, non impedì al presidente del Consiglio di formare un nuovo governo comprendendo i “partiti laici”.

Il raggiungimento di un risultato così unico fu dato dal fatto che ampie parti del paese, dalla grande industria ai forti interessi economici locali, nonostante fossero pervase da un trasversale anticlericalismo votarono la dc in chiave anticomunista. Uno dei più attivi oppositori a De Gasperi, in una dc che ancora non era divisa in numerose correnti che si andranno formando dopo la morte dello statista trentino, fu Giuseppe Dossetti. Qui è utile distinguere tra la dc di De Gasperi e Dossetti, come fa il Prof. Bedeschi nel suo libro La Prima Repubblica. Storia di una democrazia difficile.

Mentre De Gasperi si era formato sotto l’influenza della Rerum Novarum di Leone XIII, si ispirava ai principi del cattolicesimo liberale e rappresentava la classe dirigente del defunto Partito Popolare, Dossetti, anche per età anagrafica, era cresciuto nel fascismo e in particolare negli anni della crisi del ’29 scoppiata in America e da cui aveva maturato una forte critica al sistema capitalistico. Da qui le letture di Jacques Maritain, l’ammirazione per la Costituzione sovietica del 1936 e la collaborazione con i comunisti. Non a caso, quando De Gasperi ruppe con il fronte socialcomunista la “grande collaborazione tra forze popolari”, per citare Togliatti, fra i suoi più accesi oppositori vi fu Dossetti, che intorno a sé aveva radunato un gruppo di giovani, da La Pira a Fanfani che saranno i futuri rappresentati della sinistra democristiana.

Le elezioni del 1948 videro scontri politici molto duri tra i vari candidati, in particolare tra Togliatti e De Gasperi. Quest’ultimo percorse l’Italia in aereo, in treno, in macchina, da nord a sud, per andare a diffondere in ogni angolo del paese la sua politica, le sue idee e la sua fede.

I tanti governi di De Gasperi

L’attività politica dei governi De Gasperi si sviluppò su tre fronti, che rispecchiavano, la concezione politica degasperiana espressa nel suo manifesto dal titolo Le idee ricostruttive della Democrazia Cristiana: l’Italia entrò nel Patto Atlantico il 5 maggio 1949, nacque il Consiglio d'Europa e il ministro Carlo Sforza disse “è il frutto di un compromesso fra le più avanzate aspirazioni franco-italiane e quelle assai più caute, invece, del governo britannico”. Furono realizzati accordi economici europei, quali ad esempio la CECA , la politica di ricostruzione fu caratterizzata dalla riforma agraria, predisposta dal ministro dell'Agricoltura Antonio Segni e inizialmente denominata ‘legge Sila’, poiché riguardava solo la Calabria, poi estesa - con l’approvazione della “legge stralcio” - ad altri territori italiani. Venne poi varato il piano INA-Casa, nacquero la Cassa per il Mezzogiorno e l’Eni, fu compiuta la riforma tributaria e la Lira si stabilizzò sotto la guida di Einaudi. Infine furono modificate la legge elettorale amministrativa e poi quella politica. Era l’estate del 1950 quando furono varate queste riforme: successivamente il 1950 passerà alla storia come “l’anno delle riforme”.

De Gasperi, dopo tutti questi mesi di grande fatica e laboriosità, era felice dell’andamento del suo governo, pur mantenendo sempre un certo realismo sulle importanti riforme appena varate scrisse: “Con la riforma agraria, vedete, noi facciamo un atto di giustizia distributiva immediata, umanamente e cristianamente necessaria, forse politicamente utile, benché in politica non bisogna sopravvalutare la riconoscenza degli uomini. Tutto questo, ricordatevi, non risolverà il problema economico del Mezzogiorno. Esso va completato in un quadro di economia più vasta guardando al domani. Oggi non possiamo adottare una forma migliore, ma noi uomini politici dovremmo stare attenti a non scivolare dall’economia alla demagogia. C’è tanto da fare e in così poco tempo!”.

I governi repubblicani, che De Gasperi guidò dal 1948 al 1953, pur tra mille difficoltà politiche, sociali ed economiche, furono di grande spessore e soprattutto governi ‘europei’, con un presidente del Consiglio europeista.

De Gasperi sognava un’Europa unita, tanto che diceva “la nostra patria Europa” e dopo che nel luglio del 1953 decise di dedicarsi solo alla vita di partito, ecco che ci fu il coronamento di una grande carriera, ma soprattutto un riconoscimento personale alla sua attività politica e diplomatica: Alcide De Gasperi divenne presidente dell’Assemblea Comune della CECA.

Il ‘figlio delle Dolomiti’, delle sue amate montagne che tanto la avevano formato e rafforzato, diventò il simbolo della futura Europa unita. Alcide De Gasperi, quel ragazzo che diceva senza vergogna “Io vengo da un ceppo di contadini e mio nonno lavorava quella magra terra, che è più roccia che terra”, arrivò al vertice della politica europea, che per lui non consisteva nel trarne vantaggi personali o partitici, la vita gli aveva tolto ma anche dato tanto, bensì lavorare nell’esclusivo interesse dei cittadini.

La scomparsa

Ma De Gasperi aveva già dato tanto, anzi troppo al nostro paese che forse mai lo capì veramente. Il suo corpo lo aveva sostenuto anche laddove nessuno se lo sarebbe mai immaginato, come quando, ormai malato, il medico gli sconsigliò di andare a Parigi, egli andò ugualmente e poi riuscì a partecipare al suo ultimo Congresso politico, a Napoli nel 1954, dove parlò e si sentì male, tanto che dovettero interrompere i lavori. Tuttavia dopo venti minuti riprese la parola e finì il discorso. Fu proprio quel discorso, forse perché sapeva che sarebbe stato l’ultimo, ad essere considerato come il suo testamento politico.

È il 19 agosto 1954 la data che segnerà la morte del più grande statista e uomo politico italiano del ‘900.

Le sue spoglie riposarono su un letto coperto di ciclamini e fiori di montagna. Fino all’ultimo desiderò che il suo letto fosse spostato verso la finestra per poter vedere meglio le sue montagne, che tanto lo avevano formato e che mai dimenticò.

La salma fu trasportata in treno da Trento a Roma, e ovunque la folla giunse per rendere omaggio. A Roma fu sepolto nel porticato della Basilica di San Lorenzo. Qualcuno tra la folla, in una delle stazioni in cui il treno si fermava, mentre si avvicinavano i potentati della Dc urlò: “De Gasperi è nostro, non vostro!”.

La Democrazia Cristiana, il partito da lui creato, governerà per ben cinquant’anni, ma i suoi allievi forse un po’ troppo ambiziosi di potere e meno degli interessi delle classi sociali verso cui De Gasperi chiese massima attenzione prima di morire, portarono la Dc al suo inesorabile tracollo politico e morale.

Con la scomparsa del politico trentino, scrisse Indro Montanelli che

“entrò in scena una classe politica che nulla sapeva di Stato e tutto di una cosa sola: il potere che mai smise di contendersi [...] Con De Gasperi finisce un’epoca e ne comincia un’altra certamente non migliore”.

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