Roma Di tutta la vita pericolosamente trascorsa sulla cresta dell'onda, anzi saltando onda su onda; di tutte le trattative al mercato della politica o le fumose partite a poker innescate in questi suoi anni «formidabili», questa della Sicilia è davvero la partita del cuore e la madre di tutte le battaglie, per Angelino Alfano.
Non solo perché gioca in casa, dove i benevoli sondaggi gli concedono fino a un 8% di consenso mai scalfito né rosicchiato da vicende personali, da sconquassi nazionali, da contraddizioni interne. No, Alfano si sta giocando tutta la posta, nel suo bunker siculo, perché da lì parte il suo sogno (o bisogno) di centro. Se fallisce lì la sua assai anacronistica politica delle alleanze da «ago della bilancia», l'andreottiano «due forni», anche la sua trattativa nazionale per le Politiche può dirsi ufficialmente in bancarotta. Né Renzi, con il quale i rapporti non sono mai tornati quelli di prima - il Fiorentino, perdente sì, ma di successo, annusa il «peso» e l'odore di cadavere come nessun altro -, né un centrodestra che avesse voglia di dimenticare, potrebbero mai accreditargli bonus da spendere in lista. È perciò una sfida esiziale, dalla quale non si esce per il rotto della cuffia e di questo sono consci sia lo stesso Alfano (tanto da pretendere dagli emissari di Renzi di raddoppiare la puntata: Sicilia e Politiche), sia ogni componente del partito. Da quella per il quale l'alleanza organica con la sinistra rappresenterebbe quasi un ritorno alle origini (vedi Cicchitto), all'ala che si trova oggi più in difficoltà, quella di Lupi e Formigoni. E se persino l'amicizia di Lupi e con Angelino è finita in camera di rianimazione, significa che siamo al redde rationem. «La questione non è né locale, né solo nazionale, investe la natura stessa di Ap», conferma il più brillante dei seguaci di Cicchitto, Sergio Pizzolante, che ormai declina l'acronimo di «Ap» come «Alternativa al Populismo».
Eppure questa battaglia al populismo di Salvini e della Meloni sembra la classica foglia di fico, l'alibi per non rivelare la forzatura di un partito che vagheggia di un centro come luogo di risoluzione di contrasti, di moderazione di intenti, di felice sopravvivenza politica, in un mondo nel quale invece sembra sempre più forte la richiesta di risposte chiare, nette, decise. Senza ambiguità, senza tentennamenti.
In questo senso, come ragionava il vecchio Pierferdinando Casini, un sopravvissuto di quel paradiso popolato di Balene, «chi ha collaborato con Letta, Renzi e Gentiloni, è inevitabile e scontato che si allei con il Pd». Casini non vede neppure «come possa essere diversamente», a livello nazionale, qualora l'accordo fosse raggiunto in Sicilia. Ma questo apre un problema enorme, nelle aree di destra che stanno ancora dentro Ap. Appunto come quella incarnata dal povero Lupi, ieri - come raccontava il suo portavoce - «in alto mare». Letteralmente però, ha subito specificato, rendendosi conto dell'inevitabile significato metaforico. Spinto fin sull'uscio dall'azzardo di Alfano, pare che Lupi abbia deciso di restare fino in fondo sulla barca costretta a navigare a caccia del centro.
«Decideremo assieme le alleanze», recitava la nota comune concordata con Alfano ma finita presto nelle secche. Segno che il silenzio è d'oro e, come si chiedeva ieri persino il manifesto, forse ci siamo sbagliati tutti. Si chiama Angelino, si pronuncia «piccolo demone».
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