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All'Italia i profughi, a Macron la Libia (e il petrolio)

L'Eliseo punta alle risorse di Tripoli. L'errore fatale di Roma: aver puntato sull'uomo sbagliato

All'Italia i profughi, a Macron la Libia (e il petrolio)

All'Italia i profughi. Alla Francia di Macron la Libia e il petrolio. A servirci l'ennesima beffa ci pensa oggi il novello Napoleone ricevendo, nel ruolo di paciere, i grandi rivali libici, il generale Khalifa Haftar, signore della Cirenaica e il premier Hafez Al Serraj, l'irrilevante premier di Tripoli su cui il governo Renzi, ha puntato tutto ricevendo in cambio meno di niente. Ma il peggio deve ancora venire. Dietro l'incontro di Parigi, di cui l'Italia era all'oscuro, si cela l'ennesimo tentativo di sottrarci petrolio e gas libici.

Per capire lo scenario vanno considerati tre elementi. Il primo è la riapertura a giugno del pozzo di Sharara gestito da Total francese, Repsol spagnola, Omv austriaca e Statoil norvegese, ovvero quattro concorrenti della nostra Eni. Il secondo è il ritorno - annunciato da Mustafa Sanalla, capo della National Oil Company e boss incontrastato del greggio libico - a una produzione di oltre un milione di barili di greggio al giorno. Un livello mai raggiunto dopo il 2013. Il terzo elemento, risalente a marzo, rischia di rivelarsi il più dannoso per l'Italia. Allora Fayez Serraj non esitò ad allearsi con le milizie jihadiste di Bengasi per strappare ad Haftar i terminali di Sidra e Ras Lanuf. Ma trascurò un particolare fondamentale. Haftar, su consiglio di una Francia che da oltre un anno gli garantisce l'appoggio delle sue forze speciali, aveva già concordato con la Noc di Sanalla la suddivisione dei proventi incassati da quei terminali. Insomma mentre Haftar e i suoi alleati, Francia in testa, godono della fiducia del boss del petrolio libico noi italiani, grazie all'inetto Serraj, perdiamo credibilità anche nel settore energetico.

A rendere tutto più difficile contribuisce la presenza all'incontro Macron-Serraj-Haftar di Ghassan Salamé, l'ex ministro della cultura libanese nominato inviato Onu per la Libia. Una presenza tutt'altro che neutrale visto che Salamé si divide tra Beirut e Parigi, dove dirige la Scuola di Affari Internazionali. E a rendere quella presenza ancor più inquietante s'aggiunge la poltrona occupata da Salamé ai vertici della Open Society Foundation, l'organizzazione con cui George Soros coordina le attività a favore dei migranti. Facile capire che con uno come lui a seguire i colloqui di Parigi la questione profughi, cruciale per l'Italia, rischia di diventare irrilevante. Mentre assai più intensi saranno gli sforzi per rafforzare l'asse Parigi-Tripoli.

Un'asse di cui Haftar, unico in Libia a controllare qualcosa di simile a un esercito, rappresenta un assetto fondamentale. Un assetto che l'Italia di Renzi ha sempre disdegnato preferendogli un Serraj rivelatosi assolutamente inutile sia nel fermare i profughi, sia nel garantire gli interessi nazionali dell'Italia. Ma oggi gli errori inanellati da Renzi ed ereditati da Gentiloni rischiano di venire al pettine.

Perché come ha ricordato il ministro degli Esteri francese Jean Ives Le Drian: «Per il mio capo di stato la Libia è una priorità».

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