Altri sei morti per amianto . Nuovi guai per Carlo De Benedetti

La procura apre un fascicolo bis sugli operai dell'Olivetti uccisi dai tumori. Nell'inchiesta principale sono contestati 14 casi. L'accusa agli ex manager: omicidio colposo aggravato

Lo stabilimento Olivetti di Ivrea
Lo stabilimento Olivetti di Ivrea

È destinato a salire il conto totale dei lavoratori Olivetti uccisi dall'amianto a causa della colpevole negligenza dell'azienda, che nonostante i ripetuti segnali di allarme non bonificò reparti di produzione, uffici e persino mense dove le polveri tossiche seminavano la morte. Ieri notizie di agenzia confermano quanto si era già appreso nei giorni scorsi: esiste una inchiesta-bis oltre al fascicolo principale, quello che tre giorni fa è già stato ufficialmente chiuso, e per il quale la Procura si prepara a chiedere il rinvio a giudizio di trentanove amministratori e manager tra cui Carlo De Benedetti e Corrado Passera. Nella seconda inchiesta si scava su almeno altre sei morti sospette, che vanno ad aggiungersi alle quattordici dell'indagine principale.

Non si conoscono ancora i nomi degli indagati nel fascicolo bis, ma la linea seguita dalla procura di Ivrea finora è abbastanza chiara: a rispondere dell'accusa di omicidio colposo aggravato devono essere tutti coloro cui competevano, negli anni sotto inchiesta, dirette responsabilità di intervento nella gestione dell'azienda. «Non ci muoviamo sul principio della responsabilità oggettiva o del “non poteva non sapere” – aveva spiegato l'altro ieri al Giornale il procuratore capo di Ivrea Giuseppe Ferrando – ma sull'accertamento diretto di responsabilità personali e specifiche». Da questa filosofia investigativa, aveva spiegato Ferrando, era nata anche la decisione di iscrivere nel registro degli indagati anche i massimi vertici dell'azienda, compreso De Benedetti (che era stato presidente e amministratore delegato) e consiglieri d'amministrazione quali Passera, o i due figli di De Benedetti, o Roberto Colaninno: perché scelte di fondo, come quella di non procedere alla bonifica dei reparti, erano state prese ai livelli più alti. «Si trattava di scelte di fondo che coinvolgevano inevitabilmente i consiglieri e l'amministratore delegato», aveva spiegato il procuratore.

Lo stesso Ferrando aveva confermato l'esistenza di un fascicolo bis, ancora in fase di accertamenti preliminari, ma con uno schema assai simile al primo troncone. D'altronde in tutti i casi denunciati in questi anni dai sindacati e da singole famiglie, il punto di partenza era tragicamente chiaro: la morte per mesotelioma che accomunava quasi tutte le vittime ha clinicamente nell'avvelenamento da amianto una delle sue cause scatenanti. E l'inchiesta ha dovuto muoversi su due terreni: accertare caso per caso, ricostruendo meticolosamente i fascicoli aziendali degli scomparsi, in quali reparti avessero prestato servizio; e individuare se in questi reparti fosse presente l'amianto, utilizzato principalmente come isolante o sotto forma di talco.

Al resto hanno provveduto le perizie commissionate dalla procura, e che dal primo fascicolo transiteranno identiche nel secondo: quelle che hanno ricostruito sia le conoscenze tecniche disponibili sulla pericolosità dell'amianto all'epoca dei fatti, sia (sulla base di testimonianze e di documentazione acquisite all'interno della azienda) la consapevolezza da parte dei vertici della drammatica situazione dei reparti. Ai vertici della Olivetti i magistrati di Ivrea contestano «negligenza, imprudenza e imperizia» con cui «cagionavano o non impedivano che fosse cagionata la morte» dei loro dipendenti.

Quattordici, nel primo fascicolo, dieci dei quali attribuiti anche a De Benedetti. Altri sei ora. E ci sono altri lavoratori, finora sopravvissuti ma in condizioni devastate, per i quali ai manager viene mossa l'accusa di lesioni personali gravissime.

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