nostro inviato a Strasburgo
Non si chiudono con la non-sentenza di ieri i rapporti tra Silvio Berlusconi e la Corte europea dei diritti dell'Uomo. Poco dopo il ricorso contro la sua decadenza dal Senato per la legge Severino, il Cavaliere l'8 aprile 2014 ne aveva presentato un secondo e anche qui l'obiettivo era di ottenere giustizia a Strasburgo. Al centro del ricorso-bis non c'è la decisione del Senato ma il processo da cui tutto è originato: quello per la vicenda dei diritti tv, finito con la condanna a quattro anni di carcere per frode fiscale (ridotti ad uno per l'indulto) ma costellato secondo il Cavaliere da una tale serie di anomalie e di illegittimità da andare a sbattere in pieno contro la Convenzione dei diritti dell'Uomo, che la Corte di Strasburgo è chiamata ad applicare. Come riassume ieri Andrea Saccucci, legale di Berlusconi: «La decadenza dal Senato fu la conseguenza ingiusta di una condanna ingiusta».
A questo secondo ricorso Berlusconi non è intenzionato a rinunciare: perché la condanna per frode fiscale, anche se ormai scontata e poi annullata dalla riabilitazione, è una macchia che rimane, e che ritiene ingiusta. Per questo va avanti, anche se i tempi saranno ancora più lunghi che per il ricorso contro la Severino, visto che dopo oltre quattro anni la Corte non ha nemmeno iniziato l'esame della pratica.
Ai giudici di Strasburgo i legali sottopongono 12 temi che, anche presi singolarmente, sarebbero sufficienti ad invalidare la condanna inflitta al Cavaliere. I più eclatanti sono i primi due, relativi alla figura dei giudici che hanno emesso le sentenze di primo grado e in Cassazione, e che con il loro ruolo avrebbero violato due tra i principi cardine della Convenzione: il diritto dell'imputato a essere giudicato dal suo giudice naturale e non da un giudice che ce l'ha su con lui. Il giudice che presiedeva il primo processo, Edoardo d'Avossa, non poteva essere lì, dicono i legali, perché era stato già da tempo trasferito a La Spezia e venne tenuto a Milano, in violazione di ogni regola del Csm, perché si pensava che solo lui fosse in grado di condurre il processo con la necessaria durezza. Mentre a presiedere la sezione della Cassazione che il 1 agosto 2013 rese definitiva la condanna era un giudice, Antonio Esposito, cui il processo non avrebbe mai dovuto essere affidato, e che era tutt'altro che imparziale, avendo «in varie occasioni manifestato apertamente e in pubblico ostilità e risentimento nei confronti del ricorrente, esprimendo la propria determinazione a condannarlo nel caso fosse giunto al suo esame». E nel ricorso si cita tra virgolette la frase attribuita a Esposito.
E non è tutto: ci sono le udienze tenute anche se l'imputato era in ospedale o impegnato al governo, le accuse spuntate dal nulla, i testimoni interrogati solo dai Pm e mai dai difensori. Ci sono le sentenze che in casi identici hanno assolto i vertici di Mediaset.
E c è un processo che non si sarebbe potuto celebrare a Milano, dove ben 62 magistrati sono azionisti Mediaset e quindi coinvolti nella vicenda. Basterà a convincere il giudice di Strasburgo che si trattò di un processo anomalo!LF
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