Sono trascorsi tre anni dall'approvazione della legge sul divorzio breve, che ha ridotto il tempo di separazione necessario per potersi dire addio. Un periodo in cui si è inizialmente registrato un boom di richieste, perché quando le coppie scoppiano, soprattutto se non ci sono figli o interessi economici di mezzo, c'è fretta di archiviare il passato per rimettersi in gioco quanto prima. Un fenomeno che però nell'ultimo anno si è ridimensionato, come dimostrano le statistiche del ministero della Giustizia.
Dal maggio del 2015 non è più necessario aspettare tre anni per divorziare, bastano sei mesi per le separazioni consensuali e dodici per le giudiziali. Una prospettiva allettante per molti, che però spesso si infrange contro la realtà dei tribunali italiani dove il concetto di rapidità, soprattutto nelle grandi città, fa a pugni con i cronici tempi della giustizia. Il divorzio breve non fa eccezione e le coppie scoppiate talvolta sono costrette ad aspettare molto più del previsto per scrivere la parola fine sul passato perché la fila di richieste di scioglimento rapido del matrimonio è tale da rallentare a dismisura la fissazione dei procedimenti, dal momento che il divorzio breve non gode di alcuna corsia preferenziale rischiando di rimanere breve solo sulla carta. Accade a Milano, dove già dopo un anno dall'entrata in vigore della legge la nona sezione era in affanno e anche nella capitale. Qui gli uffici giudiziari, fisiologicamente sotto stress per la cronica carenza di personale, sono sovraccaricati dalle domande di divorzio breve. «Alla prima sezione - spiega l'avvocato Marcella Conte - possono passare anche sei o sette mesi prima della fissazione della prima udienza. I ruoli sono carichi, non ci sono giudici sufficienti per smaltire le istanze e questo rischia di far perdere efficacia alla riforma». Gian Ettore Gassani, presidente dell'associazione avvocati matrimonialisti, conferma il disagio: «In Italia si scrivono le leggi, e questa è una buona legge, ma non si struttura la macchina della giustizia per farle funzionare».
Nel 2016, tra consensuali e contenziosi, sono stati definiti 75.657 divorzi, rispetto ai 64.600 del 2015, quando nel secondo semestre è entrata in vigore la normativa «accelerata». Anche se in realtà gli addii sono stati molti di più, perché le statistiche del ministero della Giustizia si riferiscono soltanto alle procedure celebrate in tribunale, senza calcolare gli iter alternativi che consentono di sciogliere il matrimonio con la negoziazione assistita dagli avvocati o direttamente in Comune. Nel 2017 i divorzi definiti davanti ad un giudice hanno subito una contrazione, sono stati 74.717 a fronte però di 94.682 sopravvenute richieste di separazione e di 62.469 divorzi ancora pendenti. Quello che emerge dai dati del ministero è l'incremento dal 2016 delle sentenze dei cosiddetti divorzi congiunti, senza contenzioso, definiti più velocemente: nel 2016 sono stati 42.374, lo scorso anno invece 39.348.
La prospettiva di accorciare il più possibile i tempi dell'addio continua comunque ad attirare i coniugi che desiderano tornare single, magari spendendo poco, anche se questo accade solo quando ci sono le condizioni per farlo davanti all'Ufficiale di stato civile del Comune, dove basta pagare poche decine di euro di diritti. Ma quando si va in Tribunale, breve che sia la strada intrapresa, chiudere un matrimonio non è mai economico. Meglio scegliere bene il legale a cui affidarsi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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