Coronavirus

"Un anno fa isolammo il primo caso. Fu uno choc, ma sapevamo cosa fare"

La responsabile di Virologia del Sacco: "Ho sbagliato a parlare di una forma di influenza, ma attaccarmi è stato un atto di maschilismo"

"Un anno fa isolammo il primo caso. Fu uno choc, ma sapevamo cosa fare"

Maria Rita Gismondo, responsabile del Dipartimento di Virologia e diagnostica delle bioemergenze dell'ospedale Sacco di Milano dopodomani è un anno esatto dalla prima diagnosi di Covid in Italia.

«Sì, merito del coraggio di Annalisa Malara, l'anestesista che diagnosticò il Covid a Mattia a Codogno e di Valeria Micheli, dirigente Biologo e aiuto reparto, che quella sera era di guardia al nostro laboratorio».

Ci racconta quella notte?

«Mattia era ricoverato a Codogno, la dottoressa Malara, grazie anche ai racconti della moglie sui contatti avuti da Mattia, fece la diagnosi di polmonite atipica da virus cinese. Non si sapeva bene ancora di cosa si trattasse, ci chiamò per un consulto perchè siamo laboratorio di riferimento regionale per le bioemergenze e siamo operativi 24 ore su 24. Decidemmo di fare un'analisi approfondita del tampone che era risultato positivo. Con un'ambulanza venne trasportato da noi il tampone, erano le 20, e lo sottoponemmo a PCR (test fabbricato in casa grazie alla mappatura del genoma del Sars-Cov -2 che arrivava dalla Cina). Un test tra i più attendibili perchè va dritto al genoma del virus. Ma eravamo perplessi, non si sapeva bene di cosa si trattasse...»

Poi cosa successe?

«Il test confermò la positività, chiamai Rizzardini, il responsabile del Dipartimento di malattie infettive con la voce tremante: sapevo che da lì sarebbe scattata l'allerta. Rizzardini andò subito a Codogno a visitare Mattia, che era in condizioni tali da non poter essere trasportato, e da noi venne ricoverata la moglie incinta».

Che cosa pensò?

«Nessuno di noi andò nel panico, siamo il Dipartimento di Bioemergenze, seguiamo continui corsi di aggiornamento e facciamo esercitazioni, siamo formati. Sicuramente lo choc sarebbe stato diverso se la scoperta fosse avvenuta in un altro ospedale».

Qualche giorno dopo, sotto stress, affidò a facebook un suo sfogo...

«Era il 23 febbraio, stanca di una serie di pressing, sommersa da tamponi da analizzare, vedevo intorno a me montare un panico crescente. Scrissi State calmi, sono solo 4 i ricoverati e la malattia è poco più di un'influenza. Non dissi nè più nè meno di quello che avevano detto i miei colleghi: Fabrizio Pregliasco, l'Oms, l'Iss, Ilaria Capua e Roberto Burioni. Purtroppo però io e la Capua siamo passate per essere state le uniche ad averlo detto».

Cosa ne ha ricavato?

«Credo si sia trattato di un'esternazione maschilista. In quel momento sbagliammo tutti, ci portavamo dietro l'esperienza della Sars e non potevamo prevedere una pandemia del genere».

Venendo a oggi, si sta profilando l'emergenza varianti anche se quella inglese circolava in Italia da novembre.

«Siamo parte di un network gestito dall'Iss che si occupa di sorveglianza: facciamo mappatura a spot con modelli statistici per studiare le varianti in circolazione. E questa è un'ottima arma per arginarne la diffusione.

Basta isolare i mini focolai per tenere la situazione sotto controllo».

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