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Gli anti-sistema alla sfida delle legislative. Obiettivo premier ed Eliseo "dimezzato"

Da Mélenchon a Le Pen e Zemmour, i partiti puntano alla maggioranza dell'Assemblea. Per conquistare il governo e condizionare il presidente

Gli anti-sistema alla sfida delle legislative. Obiettivo premier ed Eliseo "dimezzato"

La sfida per l'Eliseo si è chiusa con il bis di Emmanuel Macron all'Eliseo. Ma la battaglia per il futuro politico della Francia resta aperta, ora che mancano 48 giorni a un altro appuntamento elettorale cruciale, il voto per le legislative del 12 e 19 giugno, in cui i francesi saranno chiamati a decidere la composizione della nuova Assemblea nazionale, 577 deputati in tutto. Da loro dipenderà il futuro governo di Francia e il nome del nuovo primo ministro o della nuova premier a Matignon, come vorrebbe Macron, se la spuntasse ancora lui.

Lo chiamano ormai «il terzo turno», visti i tempi ravvicinati con il ballottaggio per le presidenziali. E le forze anti-sistema, dall'estrema sinistra di Jean Luc Mélenchon (terzo con appena 400mila voti di scarto su Marine Le Pen al primo turno delle presidenziali), fino all'estrema destra del Rassemblement National e di Eric Zemmour, puntano tutte a giugno, per tentare la spallata a Macron e costringerlo a una presidenza dimezzata, se non a una coabitazione con un primo ministro leader dell'opposizione.

Lo ha già detto chiaramente proprio il «rosso» Mélenchon, forte del suo 22% al primo turno per l'Eliseo (in tutto 7,7 milioni di voti) e ago della bilancia nel ballottaggio di ieri: «Il terzo turno è iniziato. Possiamo battere Macron». Il leader della «Union Populaire» chiede ai francesi di mobilitarsi e formare un «blocco popolare» che possa strappare la maggioranza nell'aula parlamentare perché sia lui, come leader dell'opposizione, a essere nominato primo ministro. Lo prevede la Costituzione: se il capo dello Stato non ha la maggioranza, deve nominare capo di governo il leader dell'opposizione e vedere i suoi poteri fortemente ridimensionati. Il governo secondo l'articolo 20 della Carta - «determina e conduce la politica della nazione», mentre al presidente spetterebbe «di vegliare sul rispetto della Costituzione, assicurare il funzionamento regolare dei poteri pubblici», farsi «garante dell'indipendenza nazionale, dell'integrità territoriale e del rispetto dei trattati». La sua prerogativa sarebbe soprattutto la gestione degli affari internazionali, ambito riservato all'Eliseo. In passato tre coabitazioni: tra il 1986 e il 1988, con François Mitterand presidente (socialista) e Jacques Chirac primo ministro (centrodestra). Poi tra il 1993 e il 1995, ancora tra Mitterand e Edouard Balladur (centrodestra) e infine, ultima volta, tra il 1997 e il 2002 tra Chirac presidente e Lionel Jospin primo ministro (socialista). La coabitazione non accade più da allora, da quando il mandato del capo dello Stato è stato ridotto da 7 a 5 anni e le presidenziali e le legislative sono quasi concomitanti, rendendo la coabitazione più improbabile.

Ma le trattative con i Verdi (Eelv) di Yannick Jadot, i più intenzionati a unirsi a Mélenchon, i comunisti (Pcf) e gli anticapitalisti (Npa) sono già cominciate. Contatti informali, ancora nessun accordo elettorale. Ma è evidente che su una federazione della sinistra ci sarà un'accelerazione, chiuse le presidenziali, e tra gli invitati non mancheranno i socialisti dopo il flop della sindaca di Parigi Anne Hidalgo alle presidenziali (1,75%). Il traguardo è raggiungibile, secondo Mélenchon, che fa già i conti: «L'Unione popolare è in testa in 104 circoscrizioni, al secondo turno (potenziale per le legislative) in 423 circoscrizioni e oggi ha 1,5 milioni di voti in più rispetto a Macron nelle legislative del 2017. Sulla carta esiste la riserva».

L'occasione è ghiotta e fa gola anche all'estrema destra, più ancora a quella di Eric Zemmour e di Marion Maréchal, la nipote di Marine Le Pen diventata vicepresidente esecutiva del partito Reconquête di Zemmour. Entrambi hanno già chiamato «a una grande coalizione delle forze di destra e di tutti i patrioti»: «Possiamo sperare in una maggioranza almeno relativa, con 379 candidati al secondo turno dice la nipote d'arte di casa Le Pen - In caso contrario, saremmo l'unico blocco a partire diviso». Oltre alle intenzioni manifestate da Mélenchon, un'unione del centro si sta creando attorno a Macron, con i delusi dei Républicains, umiliati alle presidenziali (Valérie Pécresse al 4,7%) e invogliati dall'ex presidente pro-Macron, Nicolas Sarkozy, e i centristi del MoDem di Francois Bayrou. Ipotesi più remota quella di una vittoria dell'estrema destra riunita, visto che il sistema maggioritario a due turni delle legislative l'ha quasi sempre penalizzata. Ma il clima è cambiato in Francia e nonostante la sconfitta di Marine alle presidenziali, l'estrema destra non è mai stata così alta. Lo sa madame Le Pen, che ieri ha ricordato: «La partita è aperta» in vista delle legislative. Lo ha ribadito Zemmour: «Il blocco nazionale si deve riunire». In settimana dovrebbero arrivare le «dimissioni di cortesia» del primo ministro Jean Castex. Ma Macron ha fatto sapere che «sarà alla luce delle legislative» che ci sarà «un primo ministro o una prima ministra da scegliere. Un uomo o una donna». Una scelta di genere potrebbe dare l'immagine di una svolta alla sua presidenza.

Sempre che alle forze anti-sistema non riesca la spallata.

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