Coronavirus

Antibiotici e controlli flop. Il virus è sotto inchiesta su «richiesta» del premier

Dopo le parole di Conte il pm di Lodi indaga su due mancanze: tamponi e uso di antivirali

Antibiotici e controlli flop. Il virus è sotto inchiesta su «richiesta» del premier

Non se ne sentiva la mancanza. E invece, come spesso capita in Italia, ecco servita l'inchiesta sul coronavirus. Ma c'è di più: il fascicolo, per ora contro ignoti, nasce dalle dichiarazioni del premier. La procura di Lodi vuole capire se le procedure e i protocolli siano stati rispettati e per questo sguinzaglia i carabinieri del Nas negli ospedali teatro della crisi: Lodi, Casalpusterlengo, Codogno. «Le omissioni - afferma in una nota il procuratore Domenico Chiaro - sono confermate dalle istituzioni. E l'iscrizione del procedimento è apparsa doverosa».

Insomma, la giustizia va a ruota del presidente del Consiglio che lunedì aveva messo sotto accusa il sistema sanitario lombardo, e nello specifico pur senza nominarlo sembrava alludere all'ospedale di Codogno. Ora i militari avviano le ricerche per stabilire se ci sia stata una falla e se questa disattenzione abbia portato alla diffusione a macchia d'olio della patologia nel Lodigiano.

Non è l'unica inchiesta aperta: anche Milano indaga, ma su altri versanti della vicenda. Un filone riguarda le manovre speculative, con la vertiginosa ascesa del prezzo delle mascherine e dei gel disinfettanti sul mercato online. L'investigazione si concentra poi sulle fake news che hanno accompagnato l'emergenza: in particolare l'audio comparso su Whatsapp sabato, un file in cui una voce di donna incitava a fare incetta di generi alimentari, perché anche Milano sarebbe piombata nella quarantena. Un allarme falso e sconsiderato che ha provocato l'assalto agli scaffali, svuotati in un amen; dunque ora si procede per diffusione di notizie false atte a turbare l'ordine pubblico.

Ma è l'indagine di Lodi quella decisiva, nel tentativo di capire come mai il virus abbia raggiunto numeri altissimi nel nostro Paese.

Dunque, si vuol comprendere, al di là delle versioni ufficiali, se ci sia stata una sottovalutazione della situazione o semplicemente non si sia affrontato in modo corretto il virus, il cui imminente arrivo dalla Cina era stato fragorosamente annunciato più volte. Due i passaggi sotto osservazione: i mancati tamponi, tutti da verificare, e di conseguenza una cura a base di antibiotici invece dei più appropriati antivirali. Accuse striscianti che il direttore sanitario della Asst di Lodi rispedisce al mittente, raccontando nei dettagli la storia ormai famosa del paziente 1. «Il trentottenne - spiega Massimo Lombardo - è arrivato al pronto soccorso di Codogno il 18 febbraio senza presentare alcun criterio che avrebbe potuto identificarlo come caso sospetto o probabile sulla base della circolare ministeriale del 27 gennaio». Insomma, il rispetto delle regole date non sarebbe stato sufficiente per intercettare il malato. Ma evidentemente qualcosa non quadrava e fu proposto al paziente il ricovero prudenziale che però venne rifiutato.

«Nella notte fra il 18 e il 19 il trentottenne ritorna per un peggioramento dei sintomi - prosegue Lombardo - e viene ricoverato». Il 20 la svolta: la moglie dice al rianimatore che il marito aveva partecipato a una cena con un amico appena rientrato dalla Cina. A questo punto si esegue il tampone. «Ma neppure questo elemento - polemizza Lombardo - avrebbe portato a classificare il caso come sospetto o probabile secondo i protocolli del ministero» che in qualche modo finiscono a loro volta sul banco degli imputati. Perché inadeguati a individuare il virus, mentre il rianimatore «merita l'ammirazione di tutti». Intanto, l'irruzione della magistratura nel dramma scatena le reazioni della politica. «Sarebbe assurdo - attacca Matteo Salvini - se vi fosse un'inchiesta aperta per via di quello che ha detto Conte.

Quei medici andrebbero premiati e non certo indagati».

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