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Antimafia, figuraccia della Bindi Impresentabili in Commissione

Se la regola del sospetto vale anche per l'Antimafia, la Bindi farebbe bene a guardarsi intorno. I rigidi paletti imposti ai candidati alle Regionali definirebbero "impresentabili" molti dei suoi colleghi

Antimafia, figuraccia della Bindi Impresentabili in Commissione

Se la regola del sospetto vale anche per l'Antimafia, Rosy Bindi farebbe bene a guardarsi intorno. I rigidi paletti imposti ai candidati alle Regionali definirebbero «impresentabili» molti dei suoi colleghi, compreso il senatore Ncd Giovanni Bilardi che dall'Antimafia se n'è andato qualche giorno fa. Chiacchierato ma solo sfiorato dalle indagini di 'ndrangheta, nipote di un condannato per mafia, è indagato sui rimborsi da consigliere regionale e ha una moglie accusata di assenteismo dal Comune di Reggio Calabria. Delle accuse non vuole parlare («Faccio politica da 30 anni...»), della Bindi sì: «È da quando ha fatto una forzatura enorme per passare come presidente - dice al Giornale - che non ci sono più andato, è solo una passerella per il presidente. Le mafie si sono evolute, l'Antimafia no. Ormai è uno strumento per un regolamento di conti».

Se basta essere indagati per essere impresentabili allora che dire di Claudio Fazzone, che la Procura di Latina vuole inchiodare per concorso in abuso d'ufficio a causa di alcune assunzioni che sarebbero state pilotate? Da anni a Fondi, il suo feudo elettorale, si indaga per infiltrazioni legate a famiglie di camorra, Cosa nostra e 'ndrangheta ma Fazzone si è sempre speso per impedire lo scioglimento del comune. Quanto basta per essere considerato «impresentabiile». E che dire di Stefano Esposito? Il deputato Pd è sotto processo per diffamazione ai danni di quattro No Tav che aveva associato agli scontri tra polizia e centri sociali ma che sono risultati estranei. Non solo: a fine 2005 fu rinviato a giudizio dal gip per alcune firme false e si difese sostenendo di averle autenticate «in tempi stretti» perché «erano giorni di grande confusione». All'udienza preliminare versò 2mila euro e così finì prosciolto.

Indagata (poi assolta) per calunnia ai danni di un finanziere, la giornalista anticamorra Rosaria Capacchione è stata comunque ritenuta candidabile dal Pd. Intercettata al telefono con il fratello indagato per alcuni appalti, la Capacchione si era lasciata andare a uno sfogo contro un sottufficiale Gdf: «A quello lo finiamo». Poi se ne era lamentata con uno dei suoi capi: l'ufficiale aveva stilato un'informativa di reato a carico del sottoposto. Finita nel nulla, il sottufficiale l'aveva denunciata. Assolta, ma secondo il vangelo della Bindi non avrebbe neanche dovuto candidarsi. Carlo Giovanardi ha un paio di processi per diffamazione, colpa di alcune frasi che sembrano dal sen fuggite («Stefano Cucchi era un grande spacciatore», «la foto di Aldovrandi morto è falsa, quello rosso è un cuscino») eccetera. Il deputato Pd Ernesto Carbone è accusato di accesso abusivo al sistema informatico e falsa testimonianza: per i pm si sarebbe auto inviato mail con frasi minacciose tipo «non ti farò più vedere tua figlia ma forse è meglio così perché tu sei pazzo» accedendo abusivamente all'account dell'ex amante per poi darle la colpa e denunciarla. Lui si proclama innocente, forse la Bindi l'avrebbe già condannato.

La ferrea regola del sospetto allora dovrebbe valere anche per Angelo Attaguile, leader di Noi con Salvini in Sicilia ma eletto in Campania. Il figlio dell'ex sottosegretario andreottiano al Bilancio Gioacchino era stato condannato per tentata concussione in primo grado poi assolto al processo di appello aperto dopo una richiesta di revisione. Le accuse erano pesanti: infiltrazioni mafiose nel Catania calcio, riciclaggio di denaro frutto di traffici illeciti e presunti contatti con il boss Nitto Santapaola. La cosentina Enza Bruno Bossio (Pd) è garantista a giorni alterni, solo quando i guai giudiziari riguardano lei o la sua famiglia. Qualche anno fa finì nel buco nero chiamato Why Not con l'accusa di truffa, abuso d'ufficio e associazione a delinquere per dei finanziamenti della Regione «pilotati» dal marito Nicola Adamo, allora segretario regionale Pd, alle aziende che lei amministrava. Colpa della «deriva giustizialista che colpisce influenti settori della sinistra», tuonò prima di venire assolta. Sul comune di Rende a guida Pd si allunga l'ombra della 'ndrangheta ma il Viminale decide che il comune non va sciolto e lei gongola: «Aveva ragione il Pd».

Eletta con 10mila voti alle primarie chiede di stringere le maglie sulle candidature «per dare un segnale ai cittadini» forse per fare un dispetto ad Adamo, che nel frattempo ha avuto un figlio con la dem Eva Catizone ed è finito sotto inchiesta per gli appalti legati all'energia eolica (la Bruno Bossio? Archiviata) per associazione a delinquere, corruzione, abuso, falso ideologico eccetera. Ma chi sarebbero gli impresentabili?

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