Le lancette che scandiscono i tempi dell'addio di ArcelorMittal a Taranto continuano a scorrere inesorabilmente, ma per l'indotto di cui fanno parte 6mila operai il tempo sembra già scaduto. I lavoratori di piccole e medie aziende sorte e cresciute all'ombra dell'antico colosso dell'acciaio hanno deciso di manifestare dinanzi alla fabbrica mentre un segnale di speranza è spuntato all'improvviso ieri sera, quando i vertici dello stabilimento hanno comunicato ai sindacati l'intenzione di interrompere le procedure di spegnimento fino all'udienza del tribunale di Milano fissata per il 27 novembre. L'indiscrezione è stata confermata dal segretario generale Fiom Cgil Puglia, Giuseppe Romano, il quale ha aggiunto che è stata anche annunciata la riapertura degli uffici commerciali.
Intanto, però, la tensione rimane altissima. E ieri a Taranto è stata una giornata di protesta. Alle 6 del mattino di ieri è cominciato lo sciopero e il presidio dei lavoratori dell'indotto. Perché al crollo degli ordini si uniscono i mancati pagamenti, fatti i conti sarebbero circa 60 milioni di euro. I grandi camion che da pilastri dell'ingranaggio produttivo sono diventati muti testimoni di una crisi senza fine sono rimasti parcheggiati nel piazzale dinanzi alla portineria C, i lavoratori hanno mostrato cartelli e striscioni per raccontare tante storie diverse accomunate dal dramma di un lavoro che sembra ormai scivolare via. La mobilitazione - fanno sapere dalle aziende di autotrasporto aderenti a Sna Casartigiani - proseguirà «fino al pagamento di tutte le fatture emesse». Il sindacato precisa che non sono state pagate quelle relative al periodo tra agosto e settembre 2019 mentre «sono in scadenza quelle di ottobre 2019».
Il risultato sostiene Casartigiani - è che le ditte di autotrasporto che hanno come cliente principale ArcelorMittal Italia «sono impossibilitate a rispettare le scadenze tributarie, fiscali e previdenziali in scadenza». Come dire: le aziende di fatto non possono lavorare, sono ferme e non vedono un euro; le spese, comprese quelle delle tasse, invece rimangono e spesso aumentano. Al punto che non ci sono più i soldi per gli stipendi e neanche per il carburante e le prime lettere di cassa integrazione sono già partite.
La tensione dinanzi alla fabbrica si taglia a fette. Sul posto è accorso anche il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano. «Stiamo studiando un sistema che consenta alla Regione di pagare le fatture al posto di Mittal e poi subentreremmo come creditori», dichiara il governatore. Intanto Cgil, Cisl e Uil in una lettera chiedono al premier di «intercedere nei confronti della multinazionale, come già avvenuto in occasione della vertenza Whirlpool, affinché venga sospesa la procedura di recesso».
I sindacati sono stati convocati al Quirinale dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Il capo dello Stato ha ricevuto i segretari di Cgil, Cisl e Uil ai quali ha ribadito come la questione dell'ex Ilva sia un problema nazionale e ha ascoltato il punto di vista dei leader sindacali. È fissato invece per venerdì un incontro tra il premier Giuseppe Conte, il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli e i vertici di ArcelorMittal.
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