Evidentemente confortato dal piccolo incremento registrato negli ultimi sondaggi, Giuseppe Conte torna a cavalcare l'onda dell'ambiguità sulla delicata questione dell'invio di armi in Ucraina. Lo fa muovendosi su un doppio equivoco. Il primo è quello di distinguere tra armi normali e armi «sempre più letali», precisando che il materiale bellico destinato a Kiev deve essere usato per «difendersi» e non per «contrattaccare». Ragion per cui, spiega, «siamo contrari all'invio di carri armati». Parole che l'ex premier definisce «chiare» e «difficili da fraintendere», facendo evidentemente finta di non sapere che la condizione di aggredito dell'Ucraina non permette di circoscrivere con tanta leggerezza il concetto di arma difensiva. Per capirci: un carro armato utilizzato per impedire all'invasore russo di avanzare sul territorio ucraino in quale categoria di armamenti rientra? Conte è ben consapevole della questione, ma gli fa comodo ignorarla. Come pure sceglie di cavalcare il secondo equivoco: quello in base al quale il tema dell'invio di armi dovrebbe essere discusso in Parlamento, così da farne l'arena per un dibattito pubblico nel quale provare a raccogliere qualche consenso in più. Come sa bene l'ex premier, infatti, questo è già accaduto a inizio marzo, con le Camere che si sono espresse a larghissima maggioranza, dando piena copertura politica e giuridica sulla materia fino al 31 dicembre 2022 (questo prevede l'articolo 2-bis del decreto). Con i voti, vale la pena ricordarlo, anche del M5s.
È per queste ragioni che la posizione tenuta in questi giorni da Conte suscita più di un dubbio. Certo, stando a una rilevazione Ipsos, gli avrebbe portato una crescita dello 0,7%, che permette al Movimento di arrivare al 15% e scavalcare la Lega (14,7%). Non è un caso che pure Matteo Salvini sia tornato ad accarezzare quel pezzo di elettorato scettico sull'invio di armi (anche lui dopo averlo votato in Parlamento). «Stiamo aiutando umanitariamente, economicamente e anche militarmente il popolo ucraino, ma l'importante è parlare di pace», risponde ai giornalisti che gli chiedono un commento alle parole di Sergio Mattarella. Ovviamente, aggiunge, «non mi riferisco al capo dello Stato», ma «ad altri politici occidentali che parlano solo di guerra». Da Udine, infatti, il presidente della Repubblica ha ribadito con nettezza le responsabilità di una «guerra insensata provocata dall'aggressione russa» e ha ripetuto senza esitazione che «la resistenza del popolo ucraino va sostenuta».
Se da una parte la questione dell'invio di armi sembra riavvicinare i due principali protagonisti del governo giallo-verde, dall'altra allarga il solco tra M5s e Pd. Il segretario dem, Enrico Letta, ribadisce infatti «pieno sostegno» al governo. E a chi gli chiede se il premier debba riferire in Parlamento come vorrebbe Conte, risponde senza esitazioni: «Mi fido delle decisioni che prenderà l'esecutivo che si è mosso fin qui con grande equilibrio, credo che Draghi abbia rappresentato bene l'intero approccio del nostro Paese».
Un tema, quello di un nuovo passaggio parlamentare, che per Palazzo Chigi è un non-problema. Draghi non ha intenzione di polemizzare con Conte ed è consapevole del fatto che la sua sia una posizione elettorale. Ma, allo stesso tempo, esclude di concedere qualunque sponda a richieste che sono «pretestuose». L'ombrello del Parlamento, infatti, vale per tutto il 2022.
Quindi anche per il terzo decreto interministeriale per inviare altre armi, che - spiega il sottosegretario alla Difesa, Giorgio Mulè - «è in preparazione». Potrebbe essere approvato già la prossima settimana, ma molto dipenderà «da cosa faranno gli altri Paesi».
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