Un sarcasmo fuoriluogo. Colpiscono le parole del gip di Crotone Michele Ciociola che ha confermato l'arresto dei due scafisti senza scrupoli e «socialmente pericolosi» Fami Fuat (tuco, 50 anni) e Khalid Arslan, (25enne pakistano): «In attesa dell'atteso ed osannato turismo crocieristico, l'Italia per alcuni giorni scopre altri esotici viaggi alla volta di Crotone e dintorni», scrive il giudice in modo abbastanza irrituale nell'ordinanza di convalida del fermo dei due mercanti di uomini, mentre continua la caccia ad altri due complici, il turco Gun Ufuk e il pakistano Ishaq Hassnan.
Secondo Ciociola i due farebbero parte di «immarcescibili e sempre più opulente organizzazioni criminali turche con appendici strutturali pakistane», forti di nuove ondate migratorie di disperati in fuga dal sisma, «disposti a tutto pur di mettersi alle spalle un crudele presente ed un ancor più fosco futuro».
Di più: il gip si autonomina «Cassandra di turno», parla di «tragica epifania» di un fatto tragico «già in tante occasioni sfiorato e preconizzato». Insomma, tutto previsto. Ma stavolta gli scafisti che con la loro condotta «hanno favorito l'immigrazione clandestina» devono restare in carcere perché sussiste il rischio che queste condotte responsabili della strage possano ripetersi «anche sul territorio nazionale».
Secondo la ricostruzione del magistrato i quattro scafisti di cui si erano all'inizio perse le tracce si sarebbero salvati proprio perché a differenza dei disperati non erano ammassati nella stiva ma «potevano girare liberamente per la barca. Elemento questo considerato «schiacciante» a sostegno delle ipotesi accusatorie assieme alla testimonianza e alle dichiarazioni dei superstiti, che indicavano in Sami Fuat e nel complice turco Gun Ufuk «i principali nocchieri del mezzo nautico», scrive il giudice, tanto che alcuni profughi cercavano di aggredire uno dei fermati mentre i soccorritori aiutavano gli altri superstiti. Ai pakistani «attività accessorie funzionali alla gestione dei migranti, tanto sul territorio turco quanto sul mare aperto», scrive ancora Ciocioli. Che per scardinare l'ipotesi la potenziale difesa dei quattro scafisti sottolinea, non senza lo stesso sarcasmo di inizio provvedimento, che «lo sbarco in esame non può essere ritenuto frutto di un epifenomenico accordo tra quattro amici al bar che, imbattutisi per caso fortuito in almeno 180 disperati, decidono di affrontare i perigli del mare per speculare sul desiderio di libertà dei dispersi medesimi».
Anzi, ci sono elementi per confermare l'esistenza di una spietata organizzazione che ha, agli occhi del gip, la colpa di aver causato questa mattanza in mare, anche per «l'elevato numero di passeggeri, le condizioni del mare, la vetustà del natante, l'ostinato rifiuto a chiamare i soccorsi, l'improvvida manovra per scappare dalle autorità».
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