Arriva il decreto Dignità. Scure sulle modifiche: in vista l'ipotesi fiducia

Il provvedimento oggi in commissione e giovedì in Aula. Via 180 emendamenti

Arriva il decreto Dignità. Scure sulle modifiche: in vista l'ipotesi fiducia

Il «decreto dignità» è ormai vicino ad approdare nell'aula della Camera per la prima lettura. Da oggi si vota in Commissione, mentre da giovedì la maggioranza affronterà il suo primo vero test di credibilità e tenuta parlamentare, dovendo difendersi nel merito dalle tante critiche sollevate dalle opposizioni, da Confindustria, ma anche da artigiani e piccole imprese e perfino dalla Cgil torinese. Critiche a cui non è insensibile la Lega che nel suo bacino elettorale può contare su tanti piccoli imprenditori preoccupati per l'irrigidimento del mercato del lavoro che il testo attuale produrrebbe.

Il primo D-Day parlamentare c'è stato ieri in commissione congiunta Lavoro e Finanze dove circa 180 emendamenti su 850 non hanno superato il vaglio di ammissibilità. Tra questi, anche la proposta a firma Lega a favore del mercato delle sigarette elettroniche che modificava la disciplina di vendita nazionale e transfrontaliera dei prodotti da inalazione senza combustione dimezzando l'accisa ed eliminando l'imposta di consumo. A questo punto, sono circa 670 le proposte di modifica che possono passare all'esame: le commissioni procederanno oggi alle relative votazioni. Il testo è atteso dall'assemblea di Montecitorio giovedì per l'avvio della discussione generale.

La «tagliola» dell'ammissibilità è andata a colpire proposte di merito firmate Forza Italia su cui sembrava esserci il consenso dell'intera maggioranza, come la flat tax per professionisti e partite Iva e lo sconto fiscale per quegli imprenditori che al Sud assumono donne. Lega e M5S hanno, invece, trovato un accordo per un emendamento che prevede che la stretta sui contratti a termine già in corso scatti solo a partire da ottobre.

L'altra questione è se si potrà procedere con una discussione libera oppure il governo deciderà di mettere la fiducia. Luigi Di Maio si tiene le mani libere. «Spero che non si debba arrivare a mettere la fiducia. Dipende dal dibattito in aula, si capirà subito se c'è un dibattito sul merito o se c'è ostruzionismo. L'obiettivo nostro è favorire il dibattito, poi come maggioranza ci prendiamo tutte le responsabilità di fare in modo che il decreto arrivi a casa, ma sono contento che gli emendamenti siano scesi sotto i mille e credo che possiamo scendere ancora».

Sullo sfondo il Pd continua a macerarsi al proprio interno, mostrando opinioni sempre più contrastanti sul merito di un provvedimento con il quale Luigi Di Maio è evidentemente riuscito a insinuarsi nelle pieghe del malcontento della sinistra del partito di Via del Nazareno. Ieri Cesare Damiano così come Gianni Cuperlo hanno chiesto ufficialmente il ritiro dell'emendamento che chiede di riportare da 36 a 24 mesi gli indennizzi per i licenziamenti illegittimi. Alla fine il segretario Maurizio Martina ha annunciato che il gruppo del Pd alla Camera «lavorerà al superamento degli attuali emendamenti Dem al decreto dignità compreso quello contestato sugli indennizzi per i licenziamenti illegittimi».

In realtà la battaglia più che sul merito è uno scontro ideologico tra le varie anime visto che la norma è costruita in maniera tale da avere un impatto pressoché impercettibile per lavoratori e aziende (il tetto massimo dei 36 mesi di indennizzo per i lavoratori assunti nel 2015 si raggiungerà soltanto nel 2033). Ma è chiaro che si tratta del termometro di uno scontro interno sempre più evidente e acceso.

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