Anni di battaglie e notti in bianco a covare rabbia e amarezza. In mezzo ricorsi e sentenze tra ex marito e moglie. Poi la svolta della Corte di Cassazione: l'ex moglie non può più pretendere il diritto allo stesso tenore di vita. Addio al buon partito. Si cambia finalmente; l'assegno divorzile si calcola solo se l'ex consorte non ha i mezzi di sostentamento.
È musica per le orecchie di quest'avvocato di Milano che è stato il primo a depositare il ricorso alla Corte d'appello di Milano. Senza perdere tempo, pronto con le sue carte la mattina dopo la sentenza della Cassazione, la corsa a presentare il reclamo. «La mia ex moglie mi ha svenato, finalmente si intravede uno spiraglio dopo un incubo che dura anni. Anzi che dura da tutta una vita». Una storia la sua che racconta bene il grado di esasperazione e di sofferenza di un ex che vive un'ingiustizia. Ex mogli che intraprendono vere e proprie battaglie, astute e ingegnose, combattute in trincea, nervi tesi e dichiarazioni dei redditi al ribasso. Tutto per dimostrare che l'assegno deve essere più alto, sempre di più.
«Ho combattuto una vita contro questo abuso, ci ho speso la vita, si rende conto?» La storia di questo avvocato fa perfino tenerezza. Sposato nel lontano 1988, la moglie avvocato come lui, anche lei di successo, due professionisti in carriera, un eccellente tenore di vita, i viaggi, una bella casa in centro con piscina e campo da tennis, ristoranti e vestiti firmati. «Erano i tempi d'oro, si lavorava a pieno ritmo e i guadagni effettivamente c'erano». Il matrimonio che finisce presto, otto anni dopo, non ci sono figli. In mezzo solo due adulti pienamente autosufficienti e capaci di provvedere a se stessi. Eppure si scatena la battaglia in tribunale. Lei che da avvocato sa dove e come colpire. E non fa sconti. Lui che ha fretta di chiudere per ripartire con una vita nuova, lei che sa e che fa i conti. Tutti, fino all'ultimo centesimo. La pretesa di continuare a vivere con lo stesso tenore di vita di prima. La prima sentenza di separazione è una debacle totale per lui. Il giudice stabilisce una somma di più di duemila euro al mese. Ma non solo. Esentasse. «E certo, ero costretto a pagare anche gli oneri connessi al mantenimento, ovviamente il mio assegno insieme al suo stipendio faceva volare la sua dichiarazione dei redditi. Io ero stato costretto anche a pagare le sue tasse».
I versamenti si susseguono puntuali così, mese dopo mese; passano inverni ed estati. Lei che si disfa di tutti i suoi beni immobiliari, vende la casa in centro a Milano dove abitavano insieme, ricava dalla vendita oltre un miliardo di vecchie lire, lascia anche lo studio di avvocato, per prenderne uno in affitto. «Mosse sapienti per risultare nulla tenente», spiega l'avvocato Roberta Busà che da anni segue la causa dell'avvocato che di queste vendite ovviamente non vede neppure un centesimo. Si rincorrono ricorsi e tentativi di ridimensionare il ricco mensile. «Al primo ricorso che abbiamo fatto siamo riusciti a far abbassare l'assegno a 1.500 euro. Una piccola vittoria, più morale che sostanziale, e l'eliminazione del rimborso fiscale». Passano gli anni, e cambiano le entrate, si riducono notevolmente. «Ogni volta abbiamo tentato di riequilibrare, di eliminare di fatto un abuso» spiega l'avvocato Busà. Sempre limature, mai un azzeramento. «Oggi, con la sentenza di Cassazione speriamo che si riporti un limite, che si metta fine a casi che rasentano l'illecito. Come per il mio assistito». Lui che intanto ha compiuto 82 anni, il lavoro che diminuisce ovviamente per evidente questione anagrafica, il chiodo fisso del maledetto assegno da versare. Sempre e comunque.
Nonostante la pensione di lei di oltre due mila euro al mese. E la triste riflessione: «Ho pagato a questa signora oltre 700mila euro. Per cosa? Per un matrimonio di 8 anni?». Resta la speranza dell'ultimo ricorso. Magari è quello buono.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.