In Italia solo un bambino su cinque può permettersi di frequentare l'asilo nido. Gli altri, quando la mamma e il papà lavorano, sono gestiti da nonni e tate. Per lo più straniere, perché costano meno. La fotografia scattata dall'ultimo rapporto dell'Istituto degli Innocenti descrive un Paese nel quale i servizi per i piccoli sono sempre più in difficoltà, complice la crisi economica che non permette di affrontarne i costi. E così solo il venti per cento dei bimbi si iscrive al nido, percentuale addirittura dimezzata al Sud.
In compenso crescono i casi di rinuncia, abbandono e morosità. Nel corso del 2016 il 19 per cento delle famiglie ha dovuto lasciare nido, iscrivendo i figli e poi ritirandoli prima dell'inizio dell'anno scolastico o dopo soli tre mesi di frequenza. Questo perché le rette sono troppo elevate: si parte da una media di 329 euro al mese per le strutture pubbliche o convenzionate. Ma per quelle private, nelle grandi città e con le fasce di reddito più alte, si possono facilmente superare i 700 euro. Davvero troppi per chi molto spesso fa fatica ad arrivare alla fine del mese. La conseguenza è che i bimbi crescono in casa, seguiti da nonni o baby sitter.
I più fortunati frequentano il nido per due anni e poi chiedono l'iscrizione anticipata alla scuola materna (da tre a sei anni) che, se pubblica, è quasi completamente gratuita a parte il contributo per la mensa. Solo nel 2016 questa sorte ha toccato circa 80mila alunni. Insomma, a preoccupare non è tanto la mancanza di strutture. Anche se l'Italia non è ancora allineata agli standard dell'Unione europea, che chiede almeno il 33% di copertura dei posti nido, contro l'attuale 18 per cento. Il vero problema sono i costi e una crisi economica che ancora non lascia scampo. Basti pensare che nelle regioni del Centro-Nord i casi di rinuncia lo scorso anno anno sono stati il 13,5 per cento, mentre il 5,6 per cento dei piccoli ha interrotto la frequenza dopo i primi tre mesi. Drammatici anche i dati sulla morosità delle famiglie, che a livello nazionale sono fermi al dieci per cento, ma al Nord raggiungono punte del 15,3 per cento. Va meglio al Sud, dove i casi di rinuncia sono stati il 12 per cento, mentre quelli di morosità il 4,7 per cento. In generale, le rinunce al nido per motivi economici stanno crescendo in modo esponenziale. Passando dal 12,9 per cento dell'anno scolastico 2014-2015 al 19 per cento di quello concluso a giugno.
Il lento declino dei nidi non è un fenomeno nuovo: sono anni che i dati delle iscrizioni subiscono costanti flessioni. Nel 2015 il calo era stato del 4 per cento, arrivato al sei per cento nel 2016. Per colpa della crisi, certo. Ma anche di liste d'attesa troppo lunghe, che spesso scoraggiano i genitori. Basti pensare che, secondo l'Istat, in tutta Italia sono presenti 13.459 asili nido, dei quali il 35 per cento è pubblico e il 65 per cento è privato. In totale i posti disponibili ogni anno sono 360.314: ogni cento liberi si crea una lista d'attesa di 106 famiglie. Di queste però, alla fine dell'iter, solo poco più di 80 iniziano il percorso formativo, sei abbandonano dopo tre mesi perché non riescono ad affrontare il costo della retta.
Resta un altro nodo da sciogliere: quello dei cosiddetti servizi integrativi - spazi gioco, centri per bambini e famiglie, servizi educativi in contesto domiciliare - nel nostro Paese ancora poco sviluppati. Il che contribuisce a rendere i nostri nidi sempre più lontani dagli standard europei.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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