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Audio inguaia Trump. "Minacce per ribaltare le elezioni in Georgia"

Rivelazione del "Washington Post". Pressioni sul segretario di Stato: "Servono 11.780 voti"

Audio inguaia Trump. "Minacce per ribaltare le elezioni in Georgia"

Nel giorno in cui il 117esimo Congresso degli Stati Uniti apre i suoi lavori, di domenica, e rielegge Nancy Pelosi Speaker, a poco più di 48 ore dalla ratifica del 6 gennaio dei risultati delle presidenziali vinte da Joe Biden, è il contenuto-bomba di una telefonata tra Donald Trump e il segretario di Stato della Georgia, Brad Raffensperger, a dare il senso del clima surriscaldato che stanno vivendo gli Stati Uniti e della lacerazione all'interno del Partito Repubblicano. «Guarda, tutto quello che voglio fare è questo: voglio solo trovare 11.780 voti, uno in più di quelli che abbiamo in Georgia», è la frase pronunciata dal presidente uscente durante la chiamata, registrata e pubblicata dal Washington Post. Una richiesta che non suona proprio come un invito qualsiasi, visto che è pronunciata dal capo della Casa Bianca a ratifica non ancora avvenuta dei risultati delle presidenziali. Una richiesta che assume un peso ancora più rilevante diffusa e pubblicata alla vigilia cruciale e tesa dei ballottaggi per i due seggi da senatore in Georgia, decisivi per stabilire che maggioranza avrà il nuovo Senato, e arriva a due giorni dal tentativo annunciato ieri da alcuni repubblicani, 11 senatori fedelissimi alla linea del presidente uscente, di ostacolare la ratifica delle presidenziali il 6 gennaio al Congresso.

I toni sono chiari e minacciosi. Il presidente avverte che se Raffensperger e Ryan Germany, il suo consigliere legale, non trovano prove della distruzione illegale di migliaia di schede nella contea di Fulton, possono essere denunciati. «È un reato e non potete lasciare che accada - dice Trump - È un grosso rischio per te e per Ryan, il tuo avvocato». The Donald sostiene che un rifiuto metterà in pericolo la rielezione di David Perdue e Kelly Loeffler, i due senatori candidati in Georgia. «A causa di quello che avete fatto al presidente - perchè la gente della Georgia sa che ci sono stati brogli - un sacco di persone non andranno a votare e molti repubblicani voteranno contro perchè odiano quello che avete fatto al presidente».

La richiesta è un chiaro invito a trascinare il procuratore nella battaglia, finora catastrofica per Trump, su frodi e voti irregolari. «Io non ho assolutamente perso la Georgia. Assolutamente no. Abbiamo vinto per centinaia di migliaia di voti», insiste il presidente in maniera ossessiva. Ma a colpire, ancora più delle parole di Trump in un colloquio durato un'ora, è la risposta del procuratore. «No, signor presidente - risponde Raffensperger -. Non ci sono state irregolarità».

Il botta e riposta è il segnale del dramma interno che sta vivendo il Grand Old Party, lacerato tra la linea del presidente uscente che lo trascina verso una battaglia senza esclusione di colpi (e minacce) e quella più tradizionale e istituzionale, che ormai critica apertamente la battaglia anti-Biden. Undici fra loro e i senatori eletti repubblicani non intendono riconoscere l'esito delle presidenziali del 3 novembre e hanno annunciato che voteranno contro il conteggio dei voti elettorali quando il Congresso dovrà certificare il 6 gennaio la vittoria di Biden. Intendono sostenere un'obiezione ai voti del Collegio elettorale e proporre una commissione per un «audit di emergenza di 10 giorni» sui risultati negli «stati contesi».

Ma durissime critiche ai colleghi di partito sono arrivate dal senatore Mitt Romney: «L'eclatante stratagemma - ha spiegato - può rafforzare l'ambizione politica di alcuni, ma minaccia pericolosamente la nostra Repubblica democratica». Difficile che la mossa riesca.

Sulle obiezioni si vota a maggioranza semplice e il leader dei repubblicani al Senato, Mitch McConnell, si è sfilato.

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