
Nelle trattative i luoghi contano. Soprattutto se a condurle c'è un ex-agente immobiliare come Steve Witkoff. E se dall'altra parte c'è Vladimir Putin un ex del Kgb attento alla psicologia delle controparti. Incontrare Donald Trump in un'Alaska comprata da Mosca 152 anni fa per 7,2 milioni di dollari equivale a ricordare che tra Russia e Stati Uniti c'è sempre spazio per gli affari. E che tra i ghiacci dell'Alaska anche il nodo Ucraina può venir declassato da irrisolvibile confronto strategico a banale "business". Un "business" in cui l'uomo del Cremlino deve puntare a "tempo" e "territori", le due condizioni essenziali per chiudere la guerra con un successo.
Partiamo dal tempo. E dalle sue dimensioni belliche strategiche e diplomatiche. Nella sua dimensione bellica il tempo è fondamentale per il controllo dei territori. Ma anche per scambiarne il meno possibile durante la trattativa. E per ricordare a Kiev che come diceva il generale Giap "non puoi conquistare al tavolo negoziale quello che non hai preso sul campo di battaglia". Oggi Mosca controlla il 99% dell'oblast di Lugansk, il 76% del Donetsk e il 75% delle regioni di Zaporizhzhia e Kherson. In tre delle quattro regioni annesse costituzionalmente alla Federazione Russa nel settembre 2023 Mosca deve ancora conquistare un quarto dei territori. La cosa è relativamente importante nel Kherson dove la linea del fronte segnata dal fiume Dniepro è modificabile solo con un costo bellico incalcolabile. A Zaporizhzhia Mosca sarebbe ben felice di tenersi la centrale nucleare più grande d'Europa infliggendo un pesante vuoto energetico a Kiev e rinunciare, invece, al capoluogo e ai 5mila chilometri quadrati ancora in mani ucraine. Ben diversa è la questione di Donetsk, una delle due regioni dove la guerra dura dal 2014, da quando cioè le forze filo russe iniziarono la secessione da Kiev.
Un presidente russo che ha sempre posto tra gli obbiettivi della guerra la "liberazione" del Donetsk e del Lugansk non può, dopo tre anni e mezzo di guerra, arrivare al negoziato finale e allo scambio di territori a cui accenna Witkoff senza aver neanche iniziato l'assedio di Kramatorsk e Sloviansk, i due principali capoluoghi ancora in mani ucraine. Ma per arrivarci - pur avanzando tra giugno e luglio di circa 500 chilometri quadrati al mese - l'esercito russo dovrà attendere almeno l'inizio dell'inverno. E superare la tagliola di Pokrovsk dove è incastrato da oltre un anno.
Nel frattempo Putin deve recuperare il dialogo con un Trump spazientito dalle sue evidenti tattiche dilatorie. Per questo - nella mente dello Zar - il protagonismo regalato a The Donald con il summit in Alaska avrà come controparte una generosa dilazione nei tempi e nei modi negoziali. Anche se l'unico a beneficiarne - almeno in termini di legittimità internazionale - sarà un presidente russo accolto negli Usa nonostante il mandato di cattura della Corte Internazionale dell'Aia.
Ma il fattore tempo nella dimensione russa è cruciale anche per rassicurare i partner commerciali.
Le sanzioni secondarie minacciate da Trump sono oggi vere spade di Damocle sospese su Cina e India e Turchia, i tre paesi grazie ai quali il Cremlino può dribblare le sanzioni e continuare a vendere gas petrolio. Ecco perché in Alaska Putin deve innanzitutto a conquistare altro tempo. Un tempo che per lui significa vittoria.