Roma Al sessantottesimo giorno di navigazione atlantica, i marinai di Cristoforo Colombo potevano avere anche le traveggole. Ma a soli diciannove giorni dalle elezioni, no, non è possibile: quegli avvistamenti di Nuovo mondo sono reali. Ci dev'essere terra sconosciuta, tra il Monte Citorio e il Palazzo della Madama. Benvenute tre caravelle, nell'inesplorata Terza Repubblica, dove anche i descamiciados sembrano nati con la camicia e l'indigeno che presiede la Camera non porta cravatta. Prateria del futuro nella quale Laura Ravetto trascina Clarissa Delfina, neppure due mesi, verso una strabiliante avventura e chi non ha trovato posto per la famiglia sugli scranni del Senato si trascina i pupi scatenati direttamente in sala Italia, a due passi dal vituperato abbeveratoio, per un selfie con Garibaldi, anche se un po' ingessato. Di là passa anche il primo onorevole nero della storia d'Italia: Toni Iwobi, «emozionato come al primo giorno di scuola». Colpo di mano delle bande scatenate? No, colpo d'ala della cavalleria leghista, che sbandiera il tosto imprenditore manco fosse Weah. Magari diventerà bomber e pure ministro, ma il gol multietnico è a porta vuota.
BACI E CAREZZE «Isso vulesse sulo nu vaso», prova a canticchiare Gianluigi Paragone, scherzando sull'amore impossibile tra Di Maio e il Cav. Ma certi flirt, come quelli tra Paragone e la Lega, muoiono all'alba. Difatti qualche suo vecchio amico lo guarda in cagnesco, da quando è passato alla concorrenza. Non sa che proprio alle spalle della Camera è spuntata nella notte la prova dell'amore clandestino tra Salvini e Di Maio: un murales ispirato al celebre bacio pop tra Breznev e Hoenecker. Baci in carne e ossa schioccano invece per l'intera mattinata e fino al pomeriggio inoltrato: la Boschi li stampa su Brunetta e Minniti, la gettonatissima Bernini a giornalisti premurosi e (persino) due a Casini. Saluti e cerimonie: uomini e uomini, donne e donne. Anche Di Maio e Fico entrano assieme a Montecitorio dopo la solenne litigata dell'altra mattina. Il vecchio Bossi, dopo aver reso l'onore delle armi a Renzi, dona una sua carezza tra capo e collo a Emma Bonino, avversaria d'altri tempi. Che delicatessen.
IRONIA DELLA SORTE Matteo Renzi è pigiato nel banco, a stretto contatto di gomito con i fedelissimi: il tesoriere Bonifazi non lo molla, Teresa Bellanova lo strizza, Dario Perrini, Simona Malpezza, Davide Faroane, Andrea Marcucci sembrano Fantozzi che non vuole scendere dal bus affollato. Una corsa a mostrargli vicinanza fisica che Matteo gradisce. Ma che l'indigna se sono i cronisti a fargli andare di traverso (pure) il caffè. È nemesi conclamata, per chi voleva abolire l'Istituzione. Così, quando Napolitano esonda in un'analisi del voto, invece che in un semplice benvenuto, è chiaro dove vuole andare a parare e quel che più gli preme: dire all'ex premier «quanto poco abbia convinto l'autoesaltazione dei risultati ottenuti negli ultimi anni da governi e da partiti di maggioranza». Ma Renzi, racconta un funzionario, o non ha capito bene o fa proprio il fiorentino perché applaude e, quando l'incontra, saluta e ringrazia. Ironia e sarcasmi del 93enne presidente sono il tocco in più della seduta che, invece di fiaccarlo, lo galvanizza. Interrompe la sfilza di «Bianca, bianca, bianca» per sottolineare: «omaggio unanime al film di Nanni Moretti». Esce un voto per Napolitano, e lui ringrazia e quasi quasi ci fa un pensierino.
RITARDATARI Arriva in ritardo Matteo Salvini, come tanti altri debuttanti, sia alla Camera che al Senato. Ritardo giustificatissimo per il premier Gentiloni, che in mattinata è ancora a tirare la carretta a Bruxelles e si materializza solo nel pomeriggio. L'aula del Senato intanto ha decretato la standing ovation a Liliana Segre: «Farmi senatrice a vita - dirà emozionata -, a me che sono stata arrestata e deportata e ho avuto la famiglia annientata, appare come un risarcimento da parte della mia Italia, che non mi ha mai chiesto scusa». Mai troppo tardi, però.
NOSTALGIA CANAGLIA. Il colpo d'occhio dell'emiciclo di Palazzo Madama fa un po' impressione: sul lato destro spicca il pacchetto di mischia capeggiato da Paolo Romani, Adriano Galliani, Stefania Craxi eccetera. Galliani ammira l'aula, la paragona a San Siro: «ma qui c'è più tifo e meno gioco». Sul fronte opposto, i quattro gatti dell'ex presidente Grasso. «Siamo l'unica sinistra», gongola. Renzi lo incontrerà, ma non riuscirà a trattenersi: «Quanti ne avete eletti, poi? Quattro o cinque?». L'ex capo pidino domina con il suo manipolo l'abbacchiato e «ristretto» gruppo del Pd. Anche gli uffici e i dipendenti rischiano di rimanere esodati senza Fornero. Al centro dell'emiciclo dilaga invece l'occupazione militare grillina: vista dall'alto, oggi che sono tutti (o quasi) ben vestiti e ripuliti, una Dc 3.0. «Spero che Grillo possa prendere tutti i pregi della Dc senza difetti», sospira Casini, l'ultimo dei mohicani, alla decima legislatura, sciarpa del Bologna al collo, in procinto di scegliere l'iscrizione al gruppo Pd. «Mai dire mai», si schermisce.
Un altro «gran vecchio» della Balena bianca, Clemente Mastella, c'è solo per interposta moglie, Sandra Lonardo. Che mostra al cronista il punto dell'amputazione subita da Clemente nell'incidente di mercoledì. Ultima falange del dito medio. «Per fortuna gliel'hanno ricostruita, gli serve». C'è ancora tanto «vaffa», in giro.
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