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Quella balla su Travaglio erede di Montanelli

Il direttore del Fatto crede di essere l'erede unico del pensiero di Indro Montanelli? Vanta amicizia e stima, ma era solo il vice-corrispondente da Torino e la sua narrazione è stata ampiamente smentita

Quella balla su Travaglio erede di Montanelli

Se ne vedono e se ne sentono di tutti i colori, ma lasciamo sognare beato e tranquillo Marco Travaglio. Che si culla in una costellazione di sogni, di fantastiche teorie personali e di prestigiosi meriti alla sua persona. Un giornalista a cui fa piacere avere l'etichetta di erede unico del pensiero di Indro Montanelli. Due mondi giornalistici profondamenti diversi, ma che per il direttore de Il Fatto Quotidiano sono colmabili con qualche dichiarazione e un'assunzione. In realtà sono galassie opposte, anche perché è lo storico fondatore de ilGiornale in persona a smentire giustizialisti e giornalisti forcaioli.

Travaglio ha sempre vantato amicizia e stima con Montanelli, sottolineando con orgoglio di essere suo allievo e di venire dalla sua scuola. Indubbiamente un pregio che non tutti possono toccare con mano, ma viene da sorridere (si fa per dire) se si osserva la fermata a cui è sceso il direttore del Fatto. Collaborò con ilGiornale come vice-corrispondente da Torino. Sembra fossero quasi padre e figlio, tanto da dedicargli un libro. Eppure, come già scritto dall'ex direttore Alessandro Sallusti, i colleghi più anziani "non ricordano di averlo mai vi­sto una volta nella reda­zione centrale e scom­mettono che Montanelli non sapeva neppure chi fosse".

Sono passati ormai anni dalla "scuola Montanelli" in cui è cresciuto Travaglio, che oggi pare aver assunto un modo di fare giornalismo che fa discutere. E mentre sorride agitando le manette e facendo il gesto dei soldi, probabilmente dimentica che il fondatore de ilGiornale non lo apprezzerebbe chissà quanto.

In realtà Montanelli ha già stroncato una linea di questo genere. Lo aveva fatto con un articolo pubblicato il 13 luglio del 1981. Il giorno prima Giovanni Spadolini aveva ottenuto la fiducia del suo primo governo e non aveva nascosto la questione della riforma di una giustizia che non era proprio limpida. Montanelli infatti aveva definito la magistratura come "la più potente arma di scardinamento e di sfascio di cui il Pci dispone". Ora invece c'è chi fa da spalla per promuovere una campagna di insulti e attacchi contro Silvio Berlusconi e Matteo Renzi, giusto per fare due esempi.

Il fondatore de ilGiornale scriveva che "non è possibile andare avanti con queste invasioni di campo della magistratura", denunciando che certi magistrati erano "inamovibili, impunibili, promossi automaticamente, pagati meglio di qualsiasi altro dipendente pubblico, incensati dai giornali di sinistra (cioè dalla maggioranza) e molto spesso malati di protagonismo". Altro che erede. Non a caso Gianni Cervetti (colonna del Pci) si dice certo del fatto che Montanelli, "un allievo del genere, lo avrebbe inseguito insultandolo".

Travaglio soprattutto in questi ultimissi tempi è in forma smagliante e si sta rendendo protagonista di esibizioni pirotecniche. Oggi ha definito Berlusconi "il garante della prostituzione e della corruzione". Qualche settimana fa ha sbattuto sul suo giornale una tabella dove si riportano alcuni movimenti del conto corrente di Matteo Renzi. Ancora prima ha bollato Mario Draghi come "figlio di papà" (probabilmente dimenticando che il premier ha perso il padre all'età di 15 anni) e lo ha accusato di non capire "un cazzo né di giustizia, né di sociale, né di sanità". Se Travaglio è l'erede di Montanelli...

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