A inizio settembre Matteo Renzi ha prima lasciato intendere ai poteri forti riuniti a Cernobbio e poi smentito davanti ai sindacati del credito inferociti, che i 300mila bancari italiani potrebbero dimezzarsi nell'arco di dieci anni. Una bomba sociale che, pur con esuberi forse da ritoccare tra 60mila e 92mila, ha trovato ieri una indiretta conferma nella diagnosi del Fondo Monetario internazionale.
La tesi di Washington è la seguente: nel Vecchio continente - ed quindi ci pare lecito pensare in una Italia che fino al 2008 ha visto le banche aprire sportelli in ogni dove per presidiare il territorio palmo a palmo e che ancora oggi ha un numero di filiali per abitante superiore alla media europea - ci sono gruppi che hanno un «notevole» spazio per migliorare la loro efficienza, adottando una cura dimagrante che potrebbe portare fino alla chiusura di un terzo degli sportelli. Una idea devastante che, trasportata nella Penisola significa la rottamazione di 9.800 sportelli sui 29.500 attualmente operativi secondo Bankitalia (34mila nel 2008).
L'Fmi, che misura l'efficienza in base ai depositi, calcola che le banche europee potrebbero così arrivare a risparmiare 18 miliardi dollari di costi operativi. Una manna per un settore alla spasmodica ricerca di redditività e per cui lo stesso Fmi ritiene «non possa essere più posticipata» una soluzione «più completa» dei problemi: si chiede in particolare «un'azione urgente» sui crediti in sofferenza oggi oltre il livello di guardia: 200 miliardi il totale lordo in Italia.
Il problema di un taglio netto delle filiali come vorrebbe l'Fmi però è un altro. Sarebbero a rischio fino a 65mila posti: in ogni sportello delle banche italiane lavorano infatti in media 6,5 addetti. Il tutto senza considerare le 28.100 uscite già messe nero su bianco negli accordi di ristrutturazione firmati con i sindacati per il periodo 2013-2020. Insomma in gioco ci potrebbe essere il destino di 90mila persone, e poco consola pensare che di norma il settore recupera tra il 30 e il 50% degli esuberi trasferendoli in altri sportelli o uffici di back office. Ammettendo siano «ripescati» la metà degli esuberi (65mila), sparirebbero infatti altri 32mila posti, e quindi 60mila considerando le uscite già decise.
Accanto alla bomba sociale per un Paese già afflitto da una disoccupazione all'11%, ci sarebbe poi quella finanziaria sui bilanci delle banche. Si parlerebbe infatti di un esborso potenziale compreso tra 5,5 e 15 miliardi, a secondo se si considera il minimo dei posti a rischio (32mila) con il taglio delle filiali ipotizzato dal Fmi, o lo spettro dei 90mila tagli. La stima è fatta considerando che oggi un istituto in ristrutturazione versa annualmente circa 56mila euro (39.500 di assegno e 16.500 di contributi) per ogni prepensionato apportato al fondo e che di norma questo attende 3 anni prima di ricevere l'assegno Inps. Va da sé che l'aggravio lieviterebbe se, come appare probabile in caso di taglio verticale degli addetti, si dovessero utilizzare tutti i cinque anni previsti dall'ammortizzatore sociale.
Quello che è certo è che, anche dopo i ripetuti inviti di Bce e Bankitalia - l'ultimo appello martedì da parte del direttore generale Salvatore Rossi - a tagliare i costi e trovare un modo per fare profitti, i sindacati Fabi, Fisac, First e Uilca non hanno mai ceduto su un punto: le uscite devono essere volontarie e tramite il Fondo. Insomma niente cassa integrazione, o sarà guerra aperta.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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