Le banche salvano i vertici a spese dei risparmiatori

Interrogazione al Guardasigilli Orlando: i manager dei quattro istituti falliti starebbero mettendo al riparo i propri patrimoni per non incorrere in eventuali azioni risarcitorie

Le banche salvano i vertici a spese dei risparmiatori

I risparmiatori lasciati con il cerino in mano e gli ex vertici che, per ora, tirano un sospiro di sollievo. Questa è, in estrema sintesi, la situazione attuale delle quattro banche (Banca Etruria, Banca Marche, Cariferara e Carichieti) poste in risoluzione con il decreto del 22 novembre. Lo scenario è paradossale, avvalorato da testimonianze, e legittima il sospetto che non si sia voluto scoperchiare un vaso di Pandora.La prima denuncia di queste incongruenze proviene da un'interrogazione al ministro della Giustizia, Andrea Orlando, da parte dei deputati del gruppo Alternativa Libera-Possibile (tra i quali Massimo Artini, Marco Baldassarre e Pippo Civati). In particolare, si chiede al Guardasigilli perché Roberto Nicastro, presidente delle quattro nuove banche, assieme al resto dei consigli di amministrazione, «non abbia avviato «alcuna procedura nei confronti dei patrimoni degli amministratori responsabili, neanche il congelamento dei loro beni». A Banca Etruria il commissario liquidatore della residual entity (ciò che è rimasto del vecchio istituto dopo lo scorporo della nuova banca e il conferimento delle sofferenze alla bad bank) ha depositato istanza di insolvenza consentendo alla Procura di Arezzo di ampliare lo spettro delle indagini. Il discorso per le altre tre è diverso. Secondo fonti bene informate, dirigenti e manager dei quattro istituti finiti in risoluzione starebbero segregando i propri patrimoni tramite fondi e trust allo scopo di non incorrere in eventuali azioni risarcitorie.Di qui l'interrogazione parlamentare che invoca da parte di Orlando «iniziative normative per l'adozione di misure cautelari e dirette alla conservazione del patrimonio di tutti coloro che hanno amministrato le quattro banche». Una richiesta che nasce da un'evidente falla del decreto salva-banche che delega in toto ai commissari, previa autorizzazione di Bankitalia, l'esercizio dell'azione sociale di responsabilità e quella dei creditori sociali contro gli organi amministrativi. Una scelta molto burocratica che ha insinuato il dubbio che non si volessero fare i conti fino un fondo con un passato che coinvolge indirettamente esponenti politici di primo piano.Un dubbio condiviso anche da Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi (il principale sindacato dei lavoratori del credito) che martedì scorso ha incontrato i vertici delle quattro nuove banche. Oltre al mantenimento dei livelli occupazionali, ha dichiarato, «abbiamo chiesto un repulisti generale di quei dirigenti che hanno portato gli istituti al collasso e che, nonostante ciò, sono rimasti al loro posto». Al di là dei vecchi consiglieri finiti nell'occhio del ciclone (Rosi, Nataloni e babbo Boschi per Etruria), in molti casi il management di primo livello non è stato rimosso in attesa che i quattro istituti, separatamente o insieme, vengano acquisiti da un pretendente.

«La vendita di determinati prodotti finanziari è stata, infatti, decisa dai vertici, non certo dai dipendenti, che erano all'oscuro di tutto», aggiunge Sileoni riferendosi agli oltre 300 milioni di bond subordinati diventati carta straccia precisando che «oltre il 70% dei bancari aveva investito in questi stessi prodotti». Motivo per il quale sarebbe necessario ampliare il fondo per i rimborsi, proprio per non fare due pesi e due misure.

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