Barack e Donald, opposti pregiudizi

Barack e Donald, opposti pregiudizi

Guardate le immagini televisive dell'ultimo viaggio presidenziale di Obama in Europa, che è iniziato ieri in Grecia e si concluderà a Berlino con un vertice con i leader dei cinque maggiori Paesi europei: è un trionfo di sorrisi, di applausi, di elogi, come se volessimo fargli sapere che ci sarebbe tanto piaciuto che rimanesse altri quattro anni alla Casa Bianca. Adesso provate a immaginare che cosa accadrà quando, tra non molto, arriverà per la prima volta tra noi il suo successore Donald Trump: sulla maggior parte degli schermi vedremo dimostrazioni ostili, cartelli con insulti, probabilmente accompagnati da commenti poco lusinghieri sul personaggio. Infatti, i campioni del politicamente corretto hanno già deciso: Obama, primo presidente nero nella storia degli Stati Uniti e vincitore di un premio Nobel per la pace appena insediato alla Casa Bianca, è buono e simpatico a prescindere da quello che ha fatto (e dai molti guai che ha combinato, soprattutto in politica estera) negli otto anni del suo mandato. Trump, invece, prima ancora di prendere possesso del suo ufficio e di formare la sua squadra di governo, è cattivo a prescindere da quello che farà: ignorante, incompetente, razzista, sessista, prepotente, pericoloso per l'umanità, e chi più ne ha, più ne metta. La discriminazione si applica naturalmente anche alle first ladies: Michelle intelligente, superecologica, piena di carisma, al punto che c'è chi la vorrebbe candidata democratica alla presidenza nel 2020; Melania con poco cervello, colpevole (?) di avere lavorato negli Stati Uniti senza permesso e ora destinata a fare solo la bella statuina. Questo diverso trattamento dei due personaggi è figlio di quello stesso atteggiamento snobistico che ha indotto tutta l'intelligentia americana (e di riflesso europea) a pronosticare la vittoria della Clinton perché era l'erede di Obama, era sostenuta dalle donne e dalle minoranze nere ed ispaniche, senza capire, e soprattutto senza tenere conto, di quello che si stava muovendo nell'America profonda. Forse anche per giustificare la cantonata presa, Trump è stato subito dipinto come una specie di orco, interprete di un rigurgito dei bianchi contro i neri, degli uomini contro le donne, degli zoticoni delle campagne contro i cervelloni delle città, dei lavoratori impoveriti dal trasferimento all'estero di tante produzioni contro l'establishment politico-finanziario che con queste si è arricchito. Il paradosso è che Trump, candidato del partito di destra, si è fatto in realtà interprete degli umori di una parte di elettorato che fisiologicamente avrebbe dovuto votare a sinistra. Ma non importa.

Donald è «cattivo» per antonomasia: e per giustificare tanto astio, dovuto per ora solo alla sua campagna elettorale aggressiva e spregiudicata, a programmi che non piacciono ai politicamente corretti e al massimo alla nomina di un estremista come Steve Bannon a «stratega» della nuova amministrazione, l'uscente Obama deve essere elevato ad icona. A prescindere da quello che ha fatto.

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