Giustizia è fatta, ma che fatica (e che tristezza). Una recente sentenza europea ha condannato lo Stato italiano a una pena pecuniaria per avere violato la Convenzione dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, in particolare la norma (articolo 10) sulla libertà di espressione per il caso Sallusti. È una sentenza importante, non certo per l'esiguità della pena pecuniaria inflitta, ma perché l'Europa riafferma un principio cardine della democrazia: per i reati di opinione non si può né si deve essere arrestati. Nemmeno se si tratta di omesso controllo da parte del direttore di un quotidiano; nemmeno se le notizie pubblicate sono inesatte o addirittura false.
Scontato? Nel resto del mondo, probabilmente sì. Anzi no: a pensarci bene ci fu un precedente, nel 2010; ma in Azerbajan. Un caso famoso e peraltro citato dalla stessa difesa dello Stato italiano nel procedimento davanti alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, per cercare di sostenere la legittimità delle decisioni dei nostri giudici nazionali. Evidentemente ci si era dimenticati che anche in quella vicenda la Corte Europea fece a pezzi la decisione dei giudici azeri di mettere in ceppi il direttore di un quotidiano locale.
A fare notizia dunque non è tanto la sentenza con cui i giudici di Strasburgo hanno condannato lo Stato italiano per violazione della norma internazionale a tutela della libertà di espressione, ma che gli stessi principi non siano stati applicati dai nostri giudici.
La legittimità di una restrizione personale della libertà per reati di opinione e per omesso controllo è sproporzionata agli addebiti contestati al direttore di un quotidiano e può venire giustificata solo in circostanze eccezionali. Questo è il caso, ad esempio, del cosiddetto hate speech o incitamento alla violenza. In altri contesti culturali, la freedom of speech giornalistica gode di ben altre garanzie, senza per questo essere deregolamentata in maniera assoluta.
Basti pensare che la sanzione penale è riconosciuta in linea di principio anche in un Paese storicamente garantista come gli Stati Uniti, ma di fatto non è mai applicata. Il motivo è evidente: la libertà di espressione costituisce uno dei fondamenti essenziali di una società democratica. È il termometro di una democrazia forte e matura e condizione indispensabile per lo sviluppo della coscienza critica e della capacità di giudizio individuale.
Questo è vero non solo per le «informazioni» o le «idee» accolte con favore o considerate inoffensive o indifferenti, ma anche per quelle che offendono o inquietano. Si chiama pluralismo e circolazione di idee.
L'Europa ci ricorda quindi bacchettandoci che la libertà di espressione è certo soggetta a eccezioni e limitazioni, ma che queste devono essere interpretate in maniera
restrittiva. Il legislatore italiano deve definire queste «restrizioni» e abolire le pene detentive a carico dei giornalisti sproporzionate e inefficienti rispetto all'auspicato effetto dissuasivo per cui erano state introdotte.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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