Ogni giorno le arrivano una marea mail da persone disperate, in ansia, che vogliono sapere, capire: c'è chi ha perso la madre, chi non si può più sposare, chi non ha più il lavoro Ma lei non è né un medico, né una psicologa, né un'economista. Myrta Merlino è uno dei volti televisivi che in questo momento, in cui c'è un enorme bisogno di informazione, è più che mai un punto di riferimento per la gente chiusa in casa. Che si piazza davanti al televisore sperando di avere buone notizie o almeno di essere confortata.
Myrta, anche L'aria che tira, al mattino su La7, sta combattendo in trincea contro il virus?
«Noi certo non salviamo vite. Ma il nostro ruolo in questo momento è fondamentale: ogni persona che avremo convinto a restare a casa sarà un regalo fatto ai medici. Dobbiamo far capire alla gente che questo virus si batte tutti insieme, che ognuno deve assumersi il suo pezzetto di responsabilità, evitare di fare fesserie e non essere superficiali. Basta con la movida del sabato sera».
Non è facile convincere la gente quando anche dall'alto ci sono disposizioni confuse o che cambiamo di continuo
«Stiamo tutti navigando a vista. Gli errori sono inevitabili. C'è stata tanta confusione e tante lacune. Ma secondo me questo non è il momento di fare polemiche o di criticare il governo, ci sarà tempo. Questo non vuol dire che non dobbiamo dire la verità o fare chiarezza. Anzi, penso che ci dovrebbe essere un patto tra tutti i media per dare una mano al Paese. L'importante ora è spiegare come risolvere i problemi. Ripeto: tutti insieme».
Si accusano i media di dare informazioni non chiare
«Tutti possono sbagliare, anche noi, ho lanciato in diretta al governo la proposta di formare una task force di grandi professionisti della comunicazione per informare i cittadini e migliorare la nostra immagine all'estero, non è possibile che ci prendano per untori».
Anche il modo di fare i talk sta cambiando?
«Stiamo facendo un racconto straordinario, senza precedenti. Mi sembra che siamo tutti un po' più seri. Cerchiamo di evitare la spettacolarizzazione, di non creare polemiche inutili, di non far litigare le persone. E invitiamo solo gente esperta, non ospiti chiamati soltanto perché hanno creato qualche scandaletto sui social o politici che vogliono attaccare gli avversari».
E siete anche costretti a usare altri mezzi: senza pubblico, senza ospiti, Skype sta salvando le trasmissioni?
«Assolutamente. I collegamenti via web sono fondamentali. Ci permettono di raggiungere le persone ovunque. Senza rischiare la salute degli inviati. E non ci importa più neppure del trucco, del parrucchiere, mandiamo in onda gli esperti, i medici, gli infermieri così come si trovano in quel momento. Questa emergenza cambierà il modo di fare informazione in televisione. Un po' più sporca, più naturale, on the road. E anche più concreta, più competente, meno urlata. Una grande lezione anche per noi che abbiamo ruoli da protagonisti, spesso troppo attenti al nostro ego: stiamo riscoprendo il motivo per cui abbiamo scelto questo mestiere».
Ti sei chiesta se è giusto continuare ad andare in onda esponendo al rischio te stessa e la tua squadra?
«Me lo chiedo tutte le mattine. Per me, la mia famiglia e tutti i collaboratori. Fosse per me non uscirei nemmeno di casa, sono anche un po' ipocondriaca e sono stata operata da poco alle tonsille. Ma penso che in questa fase il nostro ruolo sia essenziale. Non mi interessa fare notizia, avere lo scoop, ma solo essere utile. So benissimo che rischiamo di essere contagiati, come è successo a Nicola Porro. Finché possiamo andiamo avanti, agendo nella massima sicurezza possibile, anche se la tv è un gioco di squadra. Ho anche pensato di fare il tampone, ma non è giusto che lo faccia io visto che è riservato a chi mostra i sintomi».
A casa tua come l'hanno presa?
«Due dei miei figli sono chiusi in casa. Uno è all'estero a studiare. E mi dicono di andare avanti senza timori. Mio padre è da solo a Napoli, non ci vedremo per un po' »
Ricevi anche tante critiche e messaggi di insulti
«Vero. Negli ultimi giorni per esempio arrivano messaggi di persone arrabbiate perché mandiamo in onda la pubblicità nonostante tutto.
Spiego che senza spot non possiamo esistere anche se stiamo effettivamente facendo servizio pubblico. Però noto che la gente è meno arrabbiata, meno incline a insultare. Anche sui social. Veramente qualcosa sta cambiando. E questa grande prova, inaudita, forse ci porterà a essere un Paese migliore»
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