Battisti, i servizi brasiliani: l'Italia non ha mosso gli 007

L'informativa dell'Abin accusa Roma: mai contattati per monitorarlo a Cananéia. Si sono fidati della polizia

Battisti, i servizi brasiliani: l'Italia non ha mosso gli 007

A puntare il dito contro l'Italia sono adesso alcuni tra i più importanti esponenti dell'Abin, i servizi segreti verde-oro che in un'informativa riservata accusano il nostro Paese di non essere mai entrato in contatto con loro per chiedere per tempo di monitorare Cesare Battisti, quando ancora viveva tranquillo a Cananéia sul litorale di San Paolo, prima della fuga. Insomma secondo il loro j'accuse, le autorità italiane si sarebbero affidate esclusivamente alla polizia federale brasiliana. Nessun summit tra 007 e scambi di informazioni di intelligence. I brasiliani dicono addirittura di non avere più da tempo alcun riferimento in Brasile che rappresenti i nostri servizi.

Accuse gravissime che fonti della Farnesina rimandando al mittente sottolineando come sul caso Brasile ormai si stia dicendo qualsiasi cosa. A partire dal direttore della polizia federale Rogério Galloro che in una conferenza stampa venerdì scorso ha pomposamente dichiarato che ben 32 operazioni sono state condotte per trovare il terrorista dei Pac, i proletari armati per il Comunismo, che tanto lavoro sta dando proprio mentre il Brasile entra nel pieno delle sue vacanze estive. Peccato però che dell'ex rapinatore di Cisterna di Latina non ci sia traccia. Una latitanza che con il passare dei giorni confermerebbe l'ipotesi iniziale di una fuga fuori dal Brasile, in paesi come la Bolivia. La polizia federale però, forse per non ammettere la figuraccia che un Paese intero ha fatto nella gestione di un caso così scottante, continua a dire di avere delle «piste» e di essere fiduciosa che prima o poi sarà arrestato. «Penso che lo troveremo - ha dichiarato Galloro - non so se nel nostro territorio ma lo si troverà in virtù della cooperazione che esiste tra le forze brasiliane e quelle internazionali».

Galloro, come per mettere le mani avanti, ha poi sottolineato durante la conferenza stampa che la polizia federale non stava monitorando Battisti perché in questi mesi non c'era nessun mandato contro di lui. «Lo abbiamo già arrestato tre volte in Brasile e tutte e tre le volte è stato liberato - ha dichiarato - quando è stato spiccato il quarto mandato di arresto era un uomo libero e prima non potevamo sprecare forze e risorse per qualcuno che davanti alla nostra legge si trovava in Brasile in modo legale». Per poi aggiungere che «se consideriamo la nostra storia recente, nel 2015 abbiamo battuto il record di arresti di latitanti e abbiamo poi mantenuto il numero alto».

Dubitiamo però che Battisti garantirà di mantenere alta la media. Il suo avvocato Igor Tomasaukas ci ha ripetuto di non avere più sue notizie e ironicamente ha chiuso dicendo che «se il compito dei giornalisti è quello di rompere le palle, quello degli avvocati è di raccontarle». Una chiosa in piena sintonia con tutto il caso dove protagonista è sempre lui, il funambolico Cesare che come un personaggio dei suoi gialli, pur di non farsi neanche un giorno di carcere - la sua pena se fosse oggi estradato in Italia sarebbe fortemente ridotta con i vari benefici - preferisce da tempo indossare i poco comodi panni del fuggitivo maledetto. E cosa di meglio dell'America Latina, continente Far west meta da sempre di tutti gli uomini in fuga, terra di frontiera dove tutto è possibile, anche l'impossibile?

I suoi due ergastoli in contumacia rimangono però sempre lì a scrutarlo imperturbabili dall'altra parte dell'oceano, qualsiasi siano i suoi movimenti. Lui che in Brasile è considerato da molti un attivista e non un terrorista, gli stessi che senza conoscere bene la storia affermano su riviste e in tv che sì l'Italia di quegli anni era una dittatura non una democrazia. In questo revisionismo al contrario alla fine almeno per il momento il vincitore rimane comunque lui. In poche settimane ha messo in scacco diplomazie, polizie e intelligence di due Paesi da sempre amici. La partita per il momento è finita ma il gioco no.

Continuerà sicuramente altrove, sostituendo alle spiagge del Brasile le montagne chissà della Bolivia, lo spagnolo al portoghese, Morales a Bolsonaro. Si conclude un capitolo, dunque, ma il romanzo è ancora tutto da scrivere.

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