Roma Trasparenza, che bella parola. Peccato però, denuncia Raffaele Cantone, che sia soltanto una scatola vuota, che tra i burocrati del Belpaese, «al di là delle proclamazioni di principio, la novità fatichi a essere realmente accettata». Insomma, solo chiacchiere e distintivo. «Per trasformarla in un casa di vetro, nel 2016 la pubblica amministrazione è stata sottoposta ad un intervento normativo epocale», come l'obbligo alla pubblicazione dei compensi e l'aumento del numero degli enti tenuti alla prova finestra. Ma una buona parte della dirigenza della Pa, racconta il presidente dell'Anac, «si è rivoltata».
A Montecitorio, di fronte a Sergio Mattarella, Cantone tiene la relazione annuale dell'autorità anti-corruzione, che dirige dal 2014. C'è «ottimismo», i risultati si vedranno tra qualche anno, ma il punto è che manca ancora un senso diffuso di responsabilità: l'Anac non può fare tutto. Gli appalti, ad esempio. «C'è l'idea che si possano assegnare solo con il bollino blu dell'Autority, eppure noi non siamo dei consulenti, non ci possiamo sostituire alle scelte discrezionali dell'amministrazione». Invece non si muove foglia che Cantone non voglia. «Non possiamo occuparci di ogni forma di illegalità e non possiamo pronunciarsi su tutte le questioni quotidianamente sottoposte, soprattutto da comuni cittadini».
Sono ben altri, spiega, i compiti dell'Anac, che «ha conquistato la fiducia della gente». Nel Paese, sostiene, «è in atto una evidente e benefica rivoluzione culturale nell'affrontare il fenomeno», ma il tema continua ad avere un ruolo centrale nel dibattito pubblico «perché l'onda lunga degli scandali e delle indagini giudiziarie non sembra arrestarsi». Certo, la macchina potrebbe funzionare ancora meglio se il governo rilanciasse alcune riforme importanti, come l'accesso civico agli atti della Pa, il Foia.
Poi, le regole sul conflitto di interessi negli incarichi pubblici. «Sono 149 i procedimenti nel 2016, però i risultati sono deludenti perché il testo è poco efficace».
Un ritocco serve pure per il whistleblowing, cioè la segnalazione di condotte in odore di corruzione. Serve «una normativa più coraggiosa, che garantisca la riservatezza a chi segnala illeciti e lo tuteli contro gli atti di discriminazione».
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