Un benvenuto anche a Calasso che scopre la violenza islamica

di Camillo Langone

R oberto Calasso, benvenuto fra noi. Il tuo articolo apparso sul Corriere, «Perché dobbiamo superare le reticenze sull'islam», ti colloca volente o forse snobisticamente nolente tra le fila di noi realisti che da molti anni, dall'Undici Settembre almeno, chiamiamo islamica la violenza appunto islamica che però politici e preti si ostinano a non aggettivare. Oggi anche tu utilizzi ed esorti a utilizzare l'aggettivo quasi proibito: «Non c'è parola che la Chiesa e i governi evitino con maggiore cura».

Non che sia un fulmine a ciel sereno, l'articolo di ieri. Io il tuo pensiero lo subodoravo perché il catalogo Adelphi sei tu ed è in quei raffinatissimi libri pastello che, ben prima dell'Undici Settembre, una vita fa, ho trovato le idee con le quali alimento la mia presente scrittura sull'invasione. Le ho trovate nei libri di Cioran, di Girard, di Milosz, di Schmitt e innanzitutto di Guido Ceronetti che nel 1987, nei «Pensieri del tè», con la sintesi che è prerogativa dei grandi scrisse «Molti ospiti, molta canaglia». Però ti pensavo asserragliato nella torre d'avorio, non immaginavo una sortita nel campo fangoso della polemica giornalistica e oramai internettiana. Siccome si rischia, a scrivere quello che hai scritto: «Che fare, allora? Rispondere combattendo a una guerra dichiarata, come sempre è avvenuto nella storia. E innanzitutto studiare il nemico».

Che parola terribile e indispensabile, nemico, una parola schmittiana, un'altra parola pressoché proibita in questo tempo di accoglienza senza condizioni (senza condizioni come una tipologia di resa, e in effetti a una resa somiglia). Benvenuto fra noi, Calasso, noi che abbiamo Oriana Fallaci per patrona, e se passi di qua ti diamo anche l'elmetto perché l'elmetto purtroppo serve, come ti potrebbe raccontare chi più sta pagando per la libertà di espressione di tutti. Penso principalmente a Magdi Allam, costretto a una vita sotto scorta e ridotto sul lastrico dai processi per islamofobia, e un poco anche a me, indagato per istigazione a delinquere (io che credevo di aver semplicemente difeso la religione cristiana...). Come capita nelle guerre civili, bisogna in primo luogo guardarsi le spalle.

Hai criticato anche il Santo Padre nel tuo articolo: «Davanti a una persecuzione in atto di cristiani in quanto cristiani non basta che il Papa si dichiari vicino a chi soffre. Ci si aspetterebbe che nominasse chi fa soffrire. Così come, durante la Seconda guerra mondiale, non si poteva dire di essere vicini agli Ebrei perseguitati senza dire che erano i nazisti a perseguitarli». In pratica hai profetizzato una futura polemica sul silenzio di Francesco, analoga a quella sul silenzio di Pio XII.

E gli hai chiesto di piantarla col depistaggio pauperista, con l'accusare del sangue versato il dio Denaro: «Certamente l'Isis e Al Qaida non sono una questione di poveri incattiviti che si rivoltano contro ricchi sopraffattori occidentali». Benvenuto fra noi che le guerre di religione le chiamiamo guerre di religione, Calasso.

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